La scuola riparta dal modello di don Milani, appuntamento a Barbiana per difendere il diritto all’istruzione
L’articolo di Francesco Sinopoli, Segretario generale della FLC CGIL, pubblicato sull’Huffington Post.
Il 18 novembre su iniziativa di Flc Cgil, Cisl e Uil scuola, Snals Confsal, ci ritroveremo a Vicchio del Mugello (Fi), dove verrà presentato al teatro Giotto il Manifesto "La scuola è aperta a tutte e a tutti", in contemporanea con cento scuole scelte sul territorio italiano. A seguire, i segretari delle quattro sigle sindacali raggiungeranno Barbiana, per rendere omaggio alla scuola di don Lorenzo Milani, a 50 anni dalla morte del priore.
Nel Manifesto è segnalato in particolare e tra le altre cose che "la scuola è un bene comune che appartiene al paese e non può essere oggetto di riforme non condivise e calate dall'alto"; "è funzionale alla rimozione delle disuguaglianze, enormemente accresciute in questi anni"; "non è un luogo di addestramento al lavoro, ma è una comunità educativa"; "La scuola dimostra ogni giorno che l'arte, la scienza, la cultura non sono riducibili a processi burocratici, a parametri economici, a logiche classificatorie e meritocratiche".
C'è un nesso stretto e inscindibile tra il Manifesto per la scuola inclusiva e costituzionale, firmato tra l'altro dai quattro segretari nazionali dei nostri sindacati, e l'opera pedagogica e sociale di don Lorenzo Milani.
Intanto, vorrei subito segnalare che parallelamente alle iniziative, è in corso una raccolta di firme in calce a un appello proposto dall'associazione Nonunodimeno al Presidente della Repubblica Mattarella, affinché lo Stato italiano restituisca a un cittadino illustre quale fu don Milani l'onore macchiato da una sentenza di condanna per apologia di reato.
Don Milani parla alla scuola e al sistema dell'istruzione di oggi più che mai. In un paese dove aumentano le disuguaglianze, la scuola dovrebbe essere uno degli strumenti per limitarle. Oggi avviene il contrario. Nel corso degli ultimi anni il sistema di istruzione è stato trasformato in un amplificatore delle disuguaglianze sociali, all'opposto di quanto prevede l'articolo 3 della Costituzione. La sottrazione delle risorse e le politiche adottate che hanno cambiato in peggio la scuola e l'università, hanno determinato, nei fatti, una sorta di alfabeto dell'esclusione dei molti, a vantaggio dei pochi. Negli istituti con un indice socio-economico-culturale più basso, infatti, più di 1 quindicenne su 4 (il 27,4%) è ripetente, mentre negli istituti con indice alto la quota scende quasi a 1 su 23 (il 4,4%). Uno studente di quindici anni su 2 (il 47%) proveniente da un contesto svantaggiato, inoltre, non raggiunge il livello minimo di competenza in lettura, otto volte tanto rispetto a un coetaneo cresciuto in una famiglia agiata.
Ecco perché anche attraverso una rilettura e un rilancio del pensiero di don Milani, a 50 anni dalla morte, occorre riportare il sistema scolastico e dell'alta formazione universitaria ai principi originari della Costituzione del '48: inclusione, ricostruzione del senso del sapere, pedagogia critica. La legge italiana di riforma della scuola, la 107 del 2015, ampiamente e malamente nota come "Buona scuola", con il suo modello manageriale molto elementare, è invece funzionale a realizzare la scuola della competizione e della concorrenza, ovvero l'esatto opposto di quella dell'inclusione e dell'uguaglianza, come vorrebbe la Costituzione. Anche per questa ragione deve essere cancellata. Ma ancor prima della 107, le misure di contenimento della spesa del governo di emergenza e la ministra Gelmini hanno letteralmente devastato la scuola pubblica.
Oggi, di fronte a una regressione alfabetica di ampie fasce della popolazione, al persistere di elevatissimi tassi di dispersione e abbandono (le scuole secondarie di secondo grado in Sicilia, per esempio, sono colpite da un tasso di abbandono del 5%, più basso solo di quello di Sardegna e Campania su un dato nazionale del 4,3%, mentre nell'Isola il tasso di abbandono nelle scuole secondarie di primo grado è l'1,32%, il più alto in Italia, su un dato nazionale dello 0,83%), alla difficoltà non risolta di tutte le transizioni che colpiscono i più deboli, alla priorità assoluta di costruire inclusione integrazione e nuova cittadinanza dobbiamo tornare a porci una domanda di fondo, la stessa che si poneva ormai cinquanta anni fa la pedagogia democratica, sulla spinta delle straordinarie e profetiche provocazioni di don Milani. Ossia se sia proprio vero che i figli della povera gente siano più stupidi di quelli dei signori, come i risultati scolastici facevano pensare. In sostanza da quella domanda nacque l'esperienza della scuola di Barbiana. Perché oggi come ieri se il sapere è solo quello dei libri, "chi ha tanti libri a casa sarà sempre più avanti di chi i libri non li ha mai visti". Anche oggi chi ha tanti libri in casa è quello che potrà sempre scegliere la scuola migliore sulla base delle informazioni che riceve dalla "rendicontazione" dei risultati dei test e delle diverse forme di valutazione.
Le presunte ragioni "meritocratiche", che hanno coperto ideologicamente gli interventi sulla scuola degli ultimi anni, dai tagli della Gelmini al primitivismo della chiamata diretta, del bonus docenti e di tutto il managerialismo straccione della legge 107, compreso l'assurdo sistema di valutazione dei dirigenti scolastici, che funge da strumento di pressione per introdurre una competizione interna alle scuole e tra le scuole, producono l'effetto opposto. Alimentano le disuguaglianze, costruendo una scuola che, specchiandole, nei fatti le moltiplica. Per questo oggi don Milani è più attuale che mai.
Per troppo tempo – così come giustamente denunciava don Lorenzo – i poveri, gli esclusi, gli analfabeti hanno faticato parecchio per sapere, capire, giudicare i diritti di cui erano anch'essi portatori. La rivoluzione dolce dell'istruzione pubblica è riconoscere i diritti fondamentali e inalienabili di cui ciascun cittadino è portatore, sanciti dalla Costituzione. Ma i diritti si apprendono, s'insegnano e si costruiscono e si consolidano nel conflitto.
La pedagogia critica di don Milani puntava a rendere "potente" la conoscenza, a fare uso del sapere per creare una società permeata dalla cultura della giustizia sociale. Il termine "I care", mi interessa, me ne occupo, infatti, divenne il motto della Scuola di Barbiana proprio per identificare la scuola come il luogo in cui tutti si occupano di ciascuno, e nessuno può essere escluso, né restare indietro. La conoscenza e la scuola sono un "bene comune", che non serve a soddisfare egoismi e narcisismi di pochi, ma a costruire un sistema sociale fondato sull'uguaglianza, sulla solidarietà, sulla politica dei "cittadini sovrani".
Per questa ragione, in ogni aula di ogni scuola italiana, e non solo, vale la pena ripristinare quel motto, spesso scimmiottato, ma mai messo davvero in pratica della scuola di Barbiana: "I care", me ne occupo, perché quel che accade nella società, nella comunità, nel mondo, è parte della scuola "di vita" dove apprendo o insegno. E dove nessuno può salvarsi da solo (d'altronde, tutta la prima parte della Costituzione è scritta tenendo presente che "nessuno può salvarsi da solo"). Una scuola moderna o è aperta al mondo oppure non è, e una scuola aperta significa anche che nessuno resta indietro, dove tutti conoscono i diritti e i doveri che la Costituzione assegna ai cittadini, e dove nessuno, crescendo, può essere sfruttato. La scuola non può che essere la palestra della democrazia, ma anche della liberazione attraverso la conoscenza critica e la consapevolezza del mondo.
Questa considerazione lega la parabola della vita, delle lezioni, dell'impegno di don Milani, alla costruzione di una scuola della Costituzione, coerente con i principi, i diritti e i valori antifascisti e repubblicani. E democratici. Solo così riusciremo a trasformarla da elemento e fattore delle disuguaglianze sociali, a elemento dinamico della giustizia sociale e della democrazia, nella quale l'alfabeto dell'esclusione farà spazio alla società aperta e inclusiva. Solo così renderemo attuale, nella concretezza del suo farsi storico, il grande sogno di don Lorenzo Milani.