La scuola riapre tra le proteste, il record dei precari e il paradosso delle finestre aperte e chiuse
Oltre 7 milioni di studenti sono tornati tra i banchi di 6 regioni. Tutti gli altri in classe tra oggi e il 19 settembre. Il ministro uscente dell’Istruzione Bianchi parla di «normalità». I sindacati lo smentiscono dati alla mano. Flash mob degli studenti che chiedono la trasformazione del sistema: "Abbiamo 100 richieste alla politica in campagna elettorale". Presentato un manifesto: un "altro modello di scuola" "per l’emancipazione e l’auto-determinazione"
Roberto Ciccarelli, Mario Pierro
Il rito dell’apertura della suola per 7 milioni e 286 mila studenti è stato celebrato ieri in sei regioni e una provincia: Abruzzo, Basilicata, Friuli, Lombardia, Piemonte, Veneto e provincia di Trento. Oggi toccherà agli studenti della Campania. Il 14 settembre le lezioni riprenderanno in Molise, Calabria, Liguria, Marche, Puglia, Sardegna, Umbria. Il 15 le aule si riempiranno in Emilia-Romagna, Lazio e Toscana. Il 19 in Sicilia e Valle d’Aosta.
FORTE, come ogni anno, è la tentazione del governo (uscente) di celebrare la prima settimana scolastica all’insegna della «normalità» simulata senza più la Dad a turnazione, le mascherine e il distanziamento. Tuttavia la pandemia non è finita. Dopo due anni e mezzo è difficile dimenticare che la scuola è stata stritolata tra iniziative bislacche (gli indimenticabili «banchi a rotelle») e l’assenza di una visione alternativa sul fare scuola oltre l’idea di un’istruzione intesa come formazione professionale. Maurizio Pregliasco, virologo della Statale di Milano, ieri ha detto che in autunno-inverno «torneremo a oltre 150 mila contagi giornalieri». Dato che la scuola è stata la prima a chiudere, e l’ultima riaprire, è possibile che il prossimo governo si comporti allo stesso modo sotto la spinta di una nuova catastrofe.
I TRE PRECEDENTI esecutivi, a parte i bonus, nulla di sostanziale hanno fatto per risolvere i difficili problemi legati ai trasporti, o all’areazione delle aule. Negli ultimi 10 anni la scuola ha perso 600 mila studenti per il calo demografico in atto, soprattutto tra i più piccoli. Invece di ripensare gli spazi, e prospettare un altro modello, i governi hanno sfruttato l’auto-organizzazione dei docenti. In cambio non gli hanno rinnovato il contratto. I salari più bassi in Europa sono rimasti tali.
NON È «NORMALE» il lavoro a scuola. Il ministro uscente dell’Istruzione Bianchi ha detto che «tutti gli insegnanti sono al loro posto» e «abbiamo mantenuto il numero» pre-covid. Versione che ha suscitato più di una perplessità tra i sindacati e i presidi. «Sono 70 mila i posti, tra docenti e Ata, non assegnati. Un disastro annunciato. Si è riusciti a fare peggio dello scorso anno. Restano vacanti circa 52 mila posti per il personale docente a cui si aggiungono almeno 200 mila supplenti» sostiene la Uil scuola. Non si contano gli errori seriali dell’algoritmo nella nomina dei supplenti in tutte le province: «Il sistema ha applicato le precedenze in modo indiscriminato, persone collocate in graduatorie che hanno chiaramente una priorità, come nel caso dei docenti specializzati, sono state scavalcate sui posti di sostegno da chi non ha la specializzazione. Il ministero ha avuto il tempo per correggere e non averlo fatto è un segnale di grave disattenzione» ha denunciato la Flc-Cgil. Nel Lazio mancano circa tremila docenti nelle scuole di ogni ordine e grado. In Puglia si lamenta il mancato rinnovo dell’organico aggiuntivo del personale Ata. Quest’anno si è passati da una media di 5,6 a una dell’1,3. «Così non possiamo garantire il servizio scolastico» sostengono i sindacati.
ALLA PANDEMIA si è aggiunta l’inflazione, voci di razionamenti dell’energia e l’economia di guerra. Già qualcuno, il presidente dei presidi Anp Antonello Giannelli per esempio, ha lanciato l’idea di una settimana corta e del taglio dei riscaldamenti. Ipotesi respinta dall’attuale esecutivo, ma rilanciata ieri dal governatore lombardo Attilio Fontana. Dato che la prossima maggioranza di estrema destra vuole creare l’autonomia differenziata, quello lanciato da Fontana potrebbe essere un segno. Ogni regione deciderà se, e come, chiudere i caloriferi. La stessa scena l’abbiamo vista durante il Covid, quando i cacicchi che governano gli enti locali hanno dissolto la parvenza di un sistema di istruzione nazionale. Tra chi vive la scuola, al di qua e al di là dei banchi, già si parla delle ingiunzioni paradossali che vengono dal potere: da un lato, si chiede di tenere aperte le finestre per evitare il Covid; dall’altro lato, si teme di tenerle chiuse per riscaldarsi a causa dei termosifoni spenti. È la condizione di chi vive in uno stato di emergenza continuo.
«QUEST’ANNO è dannatamente uguale a quelli pre-pandemia -ha detto il segretario nazionale Flc-Cgil Alessandro Rapezzi – Ci troviamo di fronte al paradosso che per contrastare il virus viene ribadito il frequente ricambio dell’aria e, nello stesso tempo, per contrastare la crisi energetica viene richiesto di mantenere chiuse le finestre. Il rischio è che mantenere il calore e cambiare aria sarà la principale attività dei docenti.
«SULL’AREAZIONE non si è fatto nulla. Avremmo dovuto installate degli impianti di ventilazione meccanica in tutte le scuole. Lo Stato avrebbe dovuto erogare dei fondi agli enti locali che, durante la pausa estiva, avrebbero dovuto fare questi interventi in tutti gli istituti. Ma sono lavori che costano molto e vanno programmati in anticipo. Per questo si è preferito aspettare la fine del Covid, piuttosto che fare questi interventi». Lo ha detto ieri il presidente dell’Anp, Associazione nazionale presidi, Antonello Giannelli, che ha liquidato in poche parole anni di retoriche sulla scuola elaborate dai partiti delle tre maggioranze variabili che hanno governato il paese.
NELLA SIMULAZIONE di una «normalità» soggetta a mille imprevisti, tipici della «società del rischio» neoliberale, il ministero ha diffuso un vademecum per «responsabilizzare» docenti e studenti in caso di contagio. Senza mascherine e distanziamento. In caso di infezione è prevista un’ « area di isolamento», per il rientro a scuola sarà necessario l’esito negativo del tampone; gli alunni positivi non potranno seguire le lezioni in Dad.
PORTARE AL 5% del prodotto interno lordo gli investimenti per l’istruzione e per la ricerca pubblica, l’abolizione della tassazione universitaria, l’abolizione dell’alternanza scuola lavoro (ora «Pcto»), ma anche la creazione di sportelli di assistenza psicologica in scuole e università e il trasporto pubblico gratuito per studenti. Sono alcune delle 100 proposte formulate dalla Rete degli studenti medi e dall’Unione degli Universitari ai candidati alle elezioni politiche del 25 settembre. Le hanno presentate nella giornata di ieri tra un flash mob al ministero dell’Istruzione e una cinquantina di azioni davanti alle scuole, tra le altre i licei Cavour, Plinio, Colombo, Machiavelli, Carducci, Da Vinci, Rousseau, Croce a Roma. Lo slogan: «Da Zero a 100 vogliamo tutto». «Ci hanno fatti sentire uno Zero, nessuna considerazione o attenzione ai temi della nostra generazione – dicono gli studenti- Ora chiediamo cento risposte».
QUANTO ALLA POLITICA di promesse elettorali ne ha fatte molte. La Lega, come gli altri, si è svegliata e ora vuole assumere tutti i precari. Il Pd ha lanciato la proposta di una scuola materna obbligatoria, ma non cita l’altra riforma disastrosa di Renzi con la quale ha aggredito la scuola e gli è valsa l’ostilità di un’altra parte del personale che ci lavora. Dopo avere varato il «docente esperto» nel «decreto aiuti bis» oggi in discussione al Senato sembra che nessuno ne riconosca la paternità. E per lucrare qualche voto dai diciottenni tutti, da destra a sinistra, hanno un pensiero compassionevole per i «giovani» che sono tra i più precari d’Europa. Dopo anni di false promesse su stipendi e contratti, di politiche inadeguate sul reclutamento e precariato strutturale, finanziamenti del Pnnr che costruiranno asili nido senza però finanziare assunzioni per tenerli aperti, chissà se la nuova maggioranza di estrema destra sarà disposta a garantire anche la gratuità del trasporto per gli studenti o l’idea che l’istruzione è gratuita in uno Stato sociale che non è certamente quello in cui viviamo.
«LE CONDIZIONI in cui versano i luoghi di formazione nel nostro paese sono imbarazzanti – sostengono gli studenti della Rete della Conoscenza – il diritto allo studio non è garantito, il tasso di abbandono scolastico è uno dei più alti in Europa, mentre il numero dei laureati tra i più bassi». «Non possiamo accettare che chi ha tagliato miliardi a scuole e università si ritrovi a decidere di nuovo del futuro del paese» hanno aggiunto gli studenti del coordinamento universitario Link. «Questo autunno- dice l’Unione degli Studenti (Uds) – ci riprenderemo in nostri spazi».
L’Uds ha presentato anche un manifesto nazionale per la scuola dove ha elaborato«un nuovo modello di istruzione», frutto di una mobilitazione che ha attraversato gli ultimi due anni scolastici drammatici. «Come risposta – ricordano . alle proteste oceaniche degli ultimi mesi, tuttavia, abbiamo ricevuto solo silenzio e repressione: dai tentativi delle questure di impedirci lo svolgimento delle manifestazioni alle gravi sanzioni disciplinari, dai sedici giorni di sospensione, a coloro che hanno occupato le scuole, fino alle manganellate nelle piazze, in particolarE modo a Torino, Napoli e Milano. Tali dinamiche ci hanno ridato solo più forza, più rabbia e voglia di cambiare lo stato delle cose. La scuola deve esercitare un ruolo decisivo nel promuovere l’emancipazione e l’auto-determinazione».