La scuola fra proteste e riaperture Lombardia, studenti a casa fino al 24
I ragazzi delle superiori e gli insegnanti manifestano insieme contro la didattica a distanza
Valentina Santarpia
La più originale è stata Gloria Ghetti, insegnante di storia e filosofia al liceo Torricelli-Ballardini di Faenza, in provincia di Ravenna: ha deciso di «occupare» pacificamente l’istituto, anche di notte. «Per dimostrare che vogliamo davvero starci a scuola, e starci in sicurezza», ha spiegato. Lo stesso slogan che ieri per tutto il giorno ha fatto il giro delle piazze d’Italia. Intanto, però, la riapertura delle scuole superiori continua a slittare: ieri sera anche la Lombardia ha annunciato un’ordinanza per continuare con la didattica a distanza al 100% almeno fino al 24 gennaio, dopo che i numeri della diffusione del Covid sono risultati ancora troppo alti, con un tasso di positività schizzato giovedì al 13,7%.
A capitanare la protesta c’era il comitato Priorità alla scuola, con sit-in organizzati in 19 città, da Salerno a Padova. A Milano un centinaio di persone si sono radunate in piazza Affari, davanti alla Borsa, simbolo del potere economico: «Volevamo sottolineare che chi paga la crisi culturale è sempre chi paga la crisi economica — spiega Chiara Ponzini, del comitato milanese —. Studenti, bambini, precari e donne, il cui lavoro di cura non viene retribuito». A Firenze hanno improvvisato lezioni seduti per terra, per denunciare come la scuola sia stata «messa all’ultimo posto» spiega Costanza Margiotta, docente universitaria. «La presenza è l’essenza»; «Scuole aperte contro il virus dell’ignoranza»; «La Dad non è scuola», si leggeva su alcuni manifesti esposti davanti ai licei di Bologna. A Napoli sono stati i genitori «no dad», contrari alla didattica a distanza, a far più rumore, con uno striscione e le sagome in cartone degli scolari: «Da marzo a oggi bambini e ragazzi della Campania hanno frequentato la scuola in presenza solo 15 giorni». A Roma la protesta ha toccato il ministero dell’Istruzione e la piazza sotto Montecitorio. Ma mentre gli studenti ribadivano, a viale Trastevere, la necessità di tornare in classe, la piazza davanti alla Camera era di segno opposto: «Le scuole devono riaprire, ma le condizioni non ci sono e ci dispiace», sottolineavano presidenti dei Consigli di istituto e sigle sindacali degli insegnanti e studenti.
Ma cosa significa tornare in sicurezza? Secondo alcuni governatori, come Alberto Cirio in Piemonte e Francesco Acquaroli nelle Marche, una via per proteggere dai focolai l’anno scolastico, sulla scia della proposta di Matteo Renzi (Iv), può essere quella di vaccinare i docenti nella fase due della campagna. Un impegno non da poco, considerando che gli insegnanti di medie e superiori sono oltre 400 mila, e si superano i 735 mila contando la scuola dell’infanzia e la primaria.
Intanto ieri circa 5 milioni di studenti sono tornati dopo le feste nelle scuole materne, elementari e medie di quasi tutto il Paese: mancano all’appello quelli di Campania e Molise (rinvio al 18 gennaio). In Trentino-Alto Adige sono rientrati in presenza (al 50%) anche gli studenti delle superiori, che torneranno lunedì in Val d’Aosta, Liguria, Emilia-Romagna, Toscana, Umbria, Lazio, Abruzzo, Sicilia e forse Basilicata. La Regione Lombardia, che aveva previsto il rientro l’11, invece ha «preso atto delle valutazioni e delle risultanze di carattere sanitario, connesse all’attuale diffusione del Covid, condivise con il Comitato tecnico scientifico lombardo» e ha assunto l’orientamento di proseguire le lezioni per le scuole secondarie di secondo grado con la didattica a distanza fino al 24 gennaio. Gli studenti lombardi torneranno quindi in aula, sempre che le condizioni lo consentano, solo il 25, come aveva già deciso la Campania. Il Piemonte e la Puglia puntano al 18, mentre Friuli-Venezia Giulia, Marche, Veneto, Calabria, e probabilmente Sardegna, al 1° febbraio. Anche se tutto potrebbe cambiare ancora con i dati aggiornati della cabina di regia del ministero della Salute sull’andamento dell’epidemia.