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La scuola finlandese e la xenofobia che viene dal freddo

di Pino PAtroncini

28/04/2011
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Si chiamano Veri Finlandesi, sono un po’ il corrispettivo finnico dei nostri leghisti, con la differenza che loro non sono regionalisti ma sono anch’essi “molto preoccupati” della immigrazione. La quale immigrazione, di circa 130.000 immigrati su 5 milioni e 200.000 autoctoni, oltre che bassa non è, si badi bene, di “lontani e incomprensibili” maghrebini, come qualcuno potrebbe immaginare,  ma per lo più dei vicini russi e  estoni e solo in misura molto minore di somali e cinesi.Ma tant’è: vuoi perché le paure della globalizzazione sono anch’esse globalizzate, vuoi perché fa consenso alimentarle, o vuoi perché – come diceva il napoletano Bellavista al suo coinquilino milanese Cazzaniga che spettegolava con stupore di usi e costumi della consorte tedesca – si è sempre meridionali di qualcuno (e quindi anche settentrionali di qualcun altro), sta di fatto che, dopo Francia e Italia, Ungheria e Romania,  Austria e Olanda, la xenofobia ha fatto il suo trionfale ingresso anche nel civilissimo paese nordico, noto per l’efficacia della sua educazione e per essere stato il primo paese europeo a dare, nel 1906, il voto alle donne. Domenica 17 aprile il partito dei Veri Finlandesi è passato dal 4 al 19% dei voti, rubando consensi un po’ a tutti e  diventando la terza forza politica del paese dietro a Conservatori e Socialdemocratici.

C’è da chiedersi quale sarà l’effetto sulla scuola finlandese, ormai considerata la più prestigiosa d’Europa, diretto o indiretto,  a seconda se i Veri Finlandesi accederanno al governo ( cosa improbabile a detta di molti osservatori) o agiteranno populisticamente, come hanno fatto con successo finora, le pulsioni xenofobe dai banchi dell’opposizione.

Lavita scolasticasi basa molto sulla fiducia reciproca tra alunni e insegnanti fino dai primi anni della scuola elementare. Lo sforzo educativo è alto: il 6% del PIL è dedicato all’istruzione e ci fa un “bell’effetto” confrontarlo con la nostra discesa dal 4,2% del 2010 al 3,7% del 2013 fino al 3,2% pronosticato per il 2030. L’investimento, più che sulla secondaria, è sui maestri della primaria che compiono un ciclo di studi terziari di cinque anni ( tre più due), in cui il 20% del tempo è dedicato al praticantato, preceduto da una selezione in ingresso che esclude il 90% degli aspiranti, fatta in base ai voti di ingresso, un esame e una sperimentazione di lavoro in classe che misura la motivazione alla professione.

Le scuole (comunali le elementari) contrattano direttamente gli insegnanti e godono di una larga autonomia: nelle elementari (7-12 anni, con uno degli orari più corti d’Europa: da600 a680 ore contro i nostri 891-1320) per decidere le misure di sostegno per chi non ce la fa (vi ricorre circa il 27% degli alunni) , nelle secondarie inferiori (13-15 anni) e superiori (16-18 anni, senza classi ma con corsi plurisettimanali, tipo università) per decidere come ripartire e impartire il curricolo ufficiale, in cui sono presenti molte materie pratico-artistiche e non accademiche.

Nella scuola gli alunni immigrati sono circa  il 4,3% ( una percentuale più alta, di quasi un punto, di quel che gli immigrati sono nella società). Ma sono in forte crescita ( nel 2005 erano il 3%) e sono concentrati nelle zone urbane del sud del paese dove comunque risiede la maggioranza dei finlandesi e nella capitale dove risiede un quarto della nazione. Nelle città poi gli immigrati risiedono prevalentemente nelle zone più povere, sicché alcune scuole possono arrivare anche al 40-50% di alunni stranieri.

“ E’ un problema incipiente, piccolo in termini generali ma gli insegnanti si preoccupano del fatto che i genitori cominciano a scegliere la scuola basandosi sui pregiudizi – diceva Patrick Scheinin, decano della Facoltà di Educazione dell’Università di Helsinki,  in una intervista al quotidiano spagnolo El Pais – Non importa che sia vero mo falso che gli alunni immigrati condizionino i risultati della maggioranza di una classe, basta che la percezione sia questa perché si destabilizzi il sistema”.

Lo stesso sindacato finlandese degli insegnanti sta discutendo se non convenga mettere un limite alla percentuale di stranieri in ogni scuola, per avere una più equa distribuzione..

Il modello finlandese è comprensivo, unitario: tutti gli alunni stanno insieme nella stessa scuola fino ai 16 anni e si cerca attraverso sostegni di tutti i tipi di evitare che qualcuno resti indietro. Ma nel paese a suo tempo non sono mancate le polemiche tra chi sosteneva questo sistema inclusivo e chi sosteneva invece che fosse giusto separare baravi e meno bravi, perché ciò sarebbe stato più fruttifero per gli uni e per gli altri. I risultati dell’inchiesta PISA smorzarono le polemiche: i quindicenni finlandesi risultarono i migliori del mondo in competenze alfabetiche e i migliori d’Europa in quelle matematiche e scientifiche. Anche il tasso degli “studenti peggiori” risultò minimo. Ma alla fine degli anni novanta, prima della prima inchiesta PISA (2001), proprio nel momento in cui si discuteva della riforma, che ancora modella il sistema scolastico finlandese, ci fu un grande dibattito in cui era molto forte la corrente di chi sosteneva che l’egualitarismo stava abbassando il livello. Ora dopo che i dati buoni sono stati confermati dalla bellezza di quattro inchieste PISA nessuno mette in discussione il sistema, ma la polemica è ancora latente.

Henna Virkunnen, ministro dell’educazione nella legislatura appena trascorsa, esponente del partito conservatore  K.O.K. che, pur indebolito (6 seggi in meno), alle elezioni ha ottenuto la maggioranza relativa e quindi avrà l’incarico di formare un nuovo governo di coalizione, ammette che le contraddizioni stanno aumentando e che la società finlandese è sempre meno omogenea, ma crede che ciò sia inevitabile e che anzi in futuro sarà necessaria ancora più immigrazione per fare fronte alla mancanza di mano d’opera locale. Minimizza l’impatto dell’immigrazione sulla scuola e ma ammette che si aprono nuove sfide Nell’intervista a El Pais criticava i  Veri Finlandesi : “ Sembra che protestino perché il mondo sta cambiando troppo in fretta – diceva – In campagna abbiamo sempre meno alunni e le distanze sono enormi. In città ci sono sempre più alunni di culture diverse”

Le faceva eco, sempre su El Pais, il presidente del Consiglio Nazionale dell’Educazione (il corrispettivo del nostro CNPI), Timo Lankinen, il quale non escludeva misure di accompagnamento urbanistico per favorire una più equa distribuzione delle scuole, ma soprattutto diceva. “ In ogni caso ciò che vogliamo è dare a tutti la migliore educazione possibile. E per questo ciò di cui necessitiamo è aggiornare i docenti, perché potranno far fronte a questo problema solo se saranno ben formati e motivati”.

 Ancora una volta il pilastro fondamentale della fortuna scolastica finlandese sembra essere la teoria dei bravi maestri e della loro preparazione professionale ma anche sociale. C’è da sperare che le buone intenzioni non vengano tradite per inseguire derive demagogiche e populistiche

da ècole


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