La scuola è stritolata dallo scontro tra Azzolina e i governatori Fontana e De Luca
Didattica a distanza e trasporti, la ministra scrive ai governatori di Lombardia e Campania. Il conflitto sull’insegnamento online nelle superiori: «Ripensateci». Ma è stato il governo a conferire alle regioni il potere di emettere norme più restrittive in caso di peggioramento della pandemia. Contro il caos della politica istituzionale la denuncia degli studenti: «Non siamo capri espiatori. Questo è il fallimento della riapertura»
Roberto Ciccarelli
La ministra dell’Istruzione Lucia Azzolina ha scritto ai governatori della Lombardia e della Campania Attilio Fontana e Vincenzo De Luca chiedendo a entrambi di tornare indietro sulle decisioni di imporre la didattica a distanza nelle scuole superiori e, a De Luca, la ripresa delle lezioni in presenza nella scuola dell’infanzia e del primo ciclo di istruzione chiuse fino al 30 ottobre. Ai governatori che hanno applicato in maniera restrittiva i «Dpcm» emanati dal presidente del Consiglio Conte, eventualità prevista dallo stesso governo nel subappalto della gestione dell’emergenza Covid, Azzolina ha chiesto di «trovare altre soluzioni» perché la didattica a distanza «non tiene conto delle specificità territoriali e degli sforzi della comunità scolastica».
GLI ENTI LOCALI dovrebbero muoversi in un perimetro normativo che prevede doppi turni, ingressi non prima delle 9 del mattino e alternanza tra didattica in presenza e online. Una richiesta che contrasta con la decisione dello stesso esecutivo di lasciare mano libera alle regioni anche su queste materie. La contraddizione è stata evidenziata ieri dal governatore dell’Emilia Romagna e presidente della Conferenza delle Regioni, il Pd Stefano Bonaccini: «È una potestà che abbiamo dal febbraio scorso – ha detto – lo prevede anche il governo, abbiamo l’aumento di contagi, dobbiamo trovare le migliori soluzioni possibili».
MENTRE I SINDACI di Milano Beppe Sala e quello di Bergamo Giorgio Gori criticavano il governatore leghista Fontana, ieri a Roma si andava alla ricerca di un compromesso. Il problema della didattica a distanza è stato derubricato a una percentuale da applicare in maniera uniforme in tutte le scuole del paese. Se per Fontana e De Luca è al 100% per il governo andrebbe prevista al 50% (escluso il primo anno) deciso dal governatore del Lazio e segretario del Pd Nicola Zingaretti. Anche Basilicata e Piemonte sono orientati verso quello che il ministro degli Affari regionali Francesco Boccia ha definito «un buon equilibrio». L’aumento della percentuale non è possibile, per ora. In attesa che un altro «Dpcm» lo stabilisca nelle prossime settimane, ad esempio. Per ora va ricordato che, a macchia di leopardo, già oggi moltissime scuole sono in didattica alternata e che la discussione in corso è la ratifica di un anno scolastico partito già dimezzato, al contrario di quanto è stato raccontato a livello ufficiale.
LA REAZIONE DI FONTANA alla lettera di Azzolina è stata una sfida: «In Lombardia c’è una situazione critica, se il ministro reputa le nostre decisioni eccessive può impugnarle». L’ultima volta che il Miur ha fatto ricorso al Tar ha perso. È successo contro la decisione del Piemonte (giunta di centro-destra) di prendere la temperatura degli studenti fuori dalle scuole, e non a casa. Una simile decisione è stata presa da De Luca (Pd) in Campania, ma non è stato presentato alcun ricorso. Nella sua risposta a Azzolina Fontana ha rinviato la palla nel campo del governo centrale anche sui trasporti. «Da mesi abbiamo segnalato quanto grandi siano le difficoltà nel trasporto pubblico. Per il potenziamento del servizio sarebbe stato necessario lo stanziamento di 200 milioni. Lo saranno solo nelle legge di bilancio 2021». E poi un’allusione polemica ai sindacati che potrebbero essere indicati come responsabili del fatto che le «turnazioni pomeridiane» non sono state possibili a causa dei «vincoli dell’orario di lavoro dei docenti». In realtà quest’ultima è solo una possibilità contenuta nell’ultimo «Dpcm», mai affrontata fino ad oggi in maniera organica. Avrebbe dovuto esserlo già da sei mesi insieme al recupero di spazi alternativi, l’aumento dei docenti e la stabilizzazione dei precari, la medicina scolastica e territoriale, la creazione di un sistema di tracciamento capillare con personale professionale chiesto dal movimento di genitori e docenti «Priorità alla scuola». Né le regioni, né il governo sembrano avere fatto molti progressi su questi fronti, almeno fino a ieri. Il neo-governatore toscano Eugenio Giani ha avanzato un’altra ipotesi: «Nelle misure di emergenza sia revocata l’autonomia scolastica sugli orari: ci dev’essere una voce unica». Ipotesi «fantasiosa» per l’associazione nazionale dei presidi secondo i quali «andrebbe potenziata». Il problema è, invece, proprio questo: chi decide in uno stato di emergenza?
NELLA CONFUSIONE dove i problemi di attribuzione di competenze istituzionali si mescolano con le ragioni di uno scontro politico, la vittima designata è la scuola. E, in particolare, sono gli studenti ad essere usati dalla «retorica paternalista» da «capro espiratorio per le mancanze di chi è al governo» sostiene la Rete degli Studenti Medi che ha lanciato una fotopetizione online. Il problema non è né la «movida», né i «comportamenti individuali», ma il fallimento della riapertura. Per gli studenti dell’Uds «non si è lavorato abbastanza per potenziare i trasporti, costruire nuove aule e garantire l’organico. Ora scontiamo le conseguenze».