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La scuola dei bambini che crescono con le parole

A tutti gli alunni delle prime elementari di Formigine (Modena) viene affidato un termine che custodiranno fino alla quinta Ogni giorno dovranno trovare significati e connessioni di quel vocabolo

17/02/2018
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la Repubblica

Maria Novella De Luca

Dalla nostra inviata

FORMIGINE ( MODENA)

Stefano, sei anni, ha ricevuto la parola “Api”, Chiara, grandi occhi azzurri, ne ha una lunga e difficile che scandisce con cura: “Strumenti musicali”, Samuele fa vedere un bel cartello con la scritta “Acqua”, a Penelope è toccata la medaglia con le “Canzoni”, a Nicholas le “Mele”, ad Alice le “Uova”. L’aula della 1ˆB è grande, luminosa, con le finestre che si affacciano sul parco. Loro, i piccoli “allevatori di parole” scrivono, tagliano, disegnano, ridono e mostrano orgogliosi i propri raccoglitori, dentro i quali quel vocabolo crescerà di anno in anno, come fosse lievito, attraverso disegni, scritti, oggetti, foto, per tutta la lunga stagione della scuola elementare. Sì, perché Stefano, Chiara, ma anche Alice e Nicholas e altri duecento (entusiasti) bambini che abitano tra Modena e Formigine quest’anno si sono trasformati in “custodi di parole”. Grazie a una sperimentazione didattica importata dal Canada e applicata per la prima volta in Italia in questa scuola emiliana intitolata a Giosuè Carducci. «Il metodo si chiama “Lid”, learning in depth — racconta Gianni Ravaldi, dirigente scolastico di lungo corso — è stato inventato dal filosofo dell’Educazione Kieren Egan e vuol dire imparare in profondità. Consiste nel consegnare a ogni bambino, all’inizio del suo percorso scolastico, un parola scelta in una lista specifica di 150 termini.

La parola viene sorteggiata e assegnata con una cerimonia, come fosse un dono prezioso.

Qui a Formigine abbiamo addirittura invitato la sindaca. I bambini dovranno poi, ogni giorno, nella loro vita quotidiana, in casa, al parco, al supermercato, trovare tutti i significati e le connessioni che possono scaturire da quel vocabolo». Acqua o mela, piante o legno, motori o spazio, farfalle o bussola. L’importante è poterle collegare, farne un puzzle, diventarne scienziati.

Insomma una parola da tenere in tasca, come fosse un pensiero costante, una piantina da annaffiare, un cucciolo da crescere.

L’approfondimento però, dice la maestra Sabina Narducci mentre raccoglie in classe i materiali di queste prime settimane di “Lid”, «deve avvenire rigorosamente lontano da Internet e senza troppo aiuto dei genitori».

Attingendo allo sguardo, alle voci, ai libri, all’osservazione, ai racconti degli anziani. Così, se in prima elementare per Nicholas la mela sarà semplicemente un frutto, un colore, un sapore, «in quinta — dice Ravaldi — aumentando i saperi, quella stessa mela porterà a Guglielmo Tell, a Newton, al problema dei pesticidi, all’alimentazione, perché la catena è infinita».

Anno dopo anno cioè il “portfolio” di Nicholas crescerà, si allargherà, diventando lievito madre per la conoscenza. Basta, allora, intanto, ascoltare Chiara, baby “titolare” della parola “strumenti musicali” mentre spiega con solenne proprietà di linguaggio: «Gli strumenti formano le note, fanno uscire i suoni, sono di legno e il legno viene dagli alberi».

E quelle forme lei le ha già disegnate, ascoltate, incrociate con quanto ha scoperto il suo compagno che ha pescato “alberi”, mentre sotto lo sguardo attento del maestro Mattia Garavini tutti ritagliano le lettere che compongono la propria parola utilizzando pezzi di giornali e riviste. «Ho sempre lavorato con i bambini, ma insegnare è qualcosa che ti arricchisce ogni giorno» dice Mattia. Samuele e Andrea hanno due facce irrestibili: «Io acqua”, «io aria”, e giù a ridere da matti, come fanno i bambini, buttando indietro la testa. A guardarli, questi piccoli “custodi di parole” delle scuole di Formigine, sembra che abbiano in tasca una moneta d’oro. Del resto italianizzando il protocollo canadese della “Lid”, le maestre hanno costruito e regalato a ogni bambino una medaglia con la paorla adottata. È come se la grammatica della fantasia di Gianni Rodari fosse diventata concreta, tangibile.

«In un’epoca di frammentazione delle competenze, di ragazzini distratti da mille stimoli digitali, la pedagogia di Kieren Egon, seguita già da oltre centomila bambini nel mondo, ci è sembrata un mezzo per recuperare e sviluppare fin dall’infanzia l’amore e la capacità di approfondimento», racconta Gianni Ravaldi, che dirige cinque plessi scolastici con 1350 allievi. In un’area di poca disoccupazione, dove sempre più giovani famiglie scelgono di trasferirsi, tra case basse, tetti rossi e giardini ordinati. «È un progetto che portiamo avanti insieme alla facoltà di Scienza dell’educazione dell’università di Modena. Oltre alla Carducci, l’altra scuola convolta è la “Ferrari”. Ogni settimana, per un’ora i bambini portano in classe tutto quello che hanno raccolto sulla loro parola, lo mostrano ai compagni, incrociano le scoperte, parlano con le maestre. Ma ci siamo accorti, dalla ricchezza dei materiali, che un’ora è assolutamente insufficiente».

Sul fronte dei risultati i dati per adesso sono soltanto canadesi, ma nei gruppi che da circa 10 anni seguono la “Lid” sono stati notati maggiori capacità di attenzione e attitudine alla ricerca. Così scrive il filosofo Kieran Egan: «Dobbiamo insegnare ai bambini come passare dalla conoscenza larga un miglio e profonda un centimentro, alla conoscenza larga un centimetro e profonda un miglio». A scendere, quindi, nelle miniere del sapere.


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