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La scuola che costruisce il futuro

L'investimento previsto nel Pnrr è cresciuto da 19,2 a 34,04 miliardi, ma per la Cgil la posta economica messa su un capitolo così importante per il futuro del paese non può essere considerata soddisfacente. L'obbligo scolastico deve valere dai 3 ai 18 anni. La ricerca? Solo per le imprese

04/02/2021
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Collettiva.it

Di Stefano Iucci

L’investimento previsto nel Pnrr per la missione Istruzione e ricerca è passato, rispetto alle precedenti versioni, da 19,2 a 34,04 miliardi di euro e rappresenta circa l’11 per cento delle risorse impegnate complessivamente. Se prendiamo poi lo specifico del capitolo Istruzione, potenziamento della didattica e diritto allo studio, l’investimento è pari a 20,95 miliardi di euro, ovvero a oltre il 60 per cento della missione, ma rappresenta solo il 7 per cento dell’intero Pnrr. “Seppur le risorse investite sono di un certo rilievo e per l’84 per cento vengono impegnate in progetti nuovi – spiega Riccardo Sanna, capo area Politiche dello sviluppo della Cgil – certamente la posta economica messa su un capitolo così importante per il futuro del paese non può essere considerata del tutto soddisfacente. Così come andrebbe meglio specificato il modo e gli obiettivi per cui queste stesse risorse verranno impiegate per recuperare alcuni ritardi storici del nostro sistema d’istruzione”. Insomma, luci e ombre nel documento: aspetti di cui il prossimo governo dovrà tener conto.

Scuola: obbligo da 3 a 18 anni 
Se andiamo nel dettaglio, nel documento redatto dalla Cgil che analizza minuziosamente il Pnrr c’è una valutazione positiva del capitolo che riguarda il potenziamento delle scuole dell’infanzia e delle sezioni primavera (con un investimento di 1 miliardo di euro) e dei nidi, partita sulla quale vengono impegnati 3.60 miliardi di euro. “L’estensione del segmento 0-6 – spiega Sanna – è una conquista che la Cgil rivendica da anni. Ma il semplice potenziamento, ancorché importante, non basta: è infatti necessario garantire l’universalità, la gratuità e soprattutto l’obbligatorietà della scuola dell’infanzia, che sinora è lasciata alla scelta delle famiglie”. Così come, spiega sempre Sanna, “occorre innalzare l’obbligo scolastico a 18 anni. Insomma: tra 3 e 18 anni tutti debbono andare a scuola”.

Allo stesso modo, è importante lo stanziamento di 1 miliardo di euro per il tempo pieno a scuola ma, aggiunge il sindacalista, “andrebbe specificato su quale ordine di scuola si investe (per noi dovrebbe essere soprattutto il ciclo primario) e in quali parti del Paese, cioè Sud, aree interne e aree periferiche urbane”. Più negativo il giudizio sulla misura Riduzione dei divari territoriali nelle competenze e contrasto all'abbandono scolastico che per la Cgil non è utile a raggiungere i risultati attesi. Interventi puntuali su singole discipline non possono, infatti, sopperire al deficit generale cognitivo e di istruzione che si può raggiungere solo attraverso un tempo scolastico più lungo. Inoltre, gli investimenti (1.5 miliardi di euro) previsti per il potenziamento delle competenze di base e per il contrasto alla dispersione scolastica (1,5 miliardi di euro) devono collegarsi a un rafforzamento dell’orientamento in tutti gli ordini e gradi del sistema d’istruzione. 

Nulla per i precari della scuola
Come è noto la Commissione Eu ha aperto a novembre l'ennesima procedura di infrazione per l’abuso del precariato nel nostro sistema d’istruzione. Tuttavia, riprende Sanna, “nel piano predisposto dal governo non c’è nessuna misura volta a dare una risposta concreta a una situazione che vede 65 mila cattedre scoperte e altre 80 mila assegnate in deroga su sostegno nel presente anno scolastico. Una situazione intollerabile sia per la continuità didattica sia per i diritti dei lavoratori”. Si conferma invece un modello di reclutamento che punta su "merito" e "selezione" con procedure concorsuali lente e farraginose. Per la Cgil, invece, occorre andare verso il modello del corso-concorso, con percorsi strutturati e organici di formazione in ingresso di livello universitario e procedure selettive snelle. La formazione di durata minima di 1 anno deve essere retribuita, e l’inserimento nel ruolo docente deve avvenire per step, con affiancamento e tutoraggio, esame abilitante e immissione in ruolo. “Per fare questo – osserva ancora Sanna – servono risorse aggiuntive”. Stabilizzare i precari però non basta: occorre incrementare gli organici per porre fine alla piaga delle classi pollaio, ancora più intollerabili in epoca di emergenza sanitaria.

Università e alta formazione
Il Pnrr stanzia 2,5 miliardi di euro per il potenziamento degli Its (gli istituti tecnici superiori), una misura positiva anche se per la Cgil, si legge nel documento, è necessario affrontare alcune criticità, tra cui “il tema della programmazione regionale degli istituti per garantire una omogeneità territoriale”. In agenda anche la riforma delle lauree abilitanti, con la semplificazione delle procedure per l’abilitazione all’esercizio delle professioni, rendendo per alcune di esse l’esame di laurea coincidente con l’esame di Stato. Cambiamenti in vista anche per i  dottorati, con l’obiettivo di finalizzarli non solo alla carriera accademica, ma anche all’impresa e all’amministrazione pubblica. “Declinata l’esigenza, il punto specifico è però abbastanza vago nell’indicare come perseguirlo”, commenta la Cgil.  

Una ricerca “per” l’impresa
“Il titolo del capitolo (Dalla ricerca all’impresa)  rivela la filosofia alla base degli interventi – commenta Sanna –. La ricerca viene considerata come un prodotto di mercato e piegata alle esigenze dei privati. In questo senso non sorprende che di ricerca di base quasi non si parli e che non si dica nulla delle condizioni di lavoro dei nostri ricercatori e delle grandi sacche di precariato che esistono in questo settore. Le assunzioni dei ricercatori sono, infatti, sempre legate alle dinamiche imposte dalle imprese o con contratti a termine legati a specifici progetti. Pochissime risorse sono specificatamente indicate per le assunzioni”. Tutto questo nonostante che le risorse previste per superare il gap che ci separa dagli altri paesi – 1,4 per cento di spesa in ricerca sul Pil rispetto a una media Ocse del 2,4 per cento – siano cospicue: ben 11,7 miliardi di euro. “Peccato che non siano tutte interamente destinate alla ricerca pubblica leva prioritaria per dare vita davvero a un nuovo modello di sviluppo”, conclude Sanna.


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