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La riforma più odiata

In autunno il più grande contenzioso giudiziario italiano. Il dramma dei precari: 102 mila assunti, altrettanti fuori

10/07/2015
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il manifesto

La Camera approva il Ddl Renzi-Giannini con 277 sì, 173 no, 4 astenuti. Il movimento della scuola non si ferma e promette battaglia da settembre

Roberto Ciccarelli

La Camera ha approvato ieri in maniera definitiva la riforma sulla scuola con 277 sì, 173 no e 4 astenuti. Dopo tre mesi e mezzo di iter parlamentare ricattatorio il governo Renzi è riuscito ad imporre alle quasi 8 mila scuole italiane un'organizzazione aziendalista. La cosiddetta «buona scuola» istituisce la chiamata diretta dei docenti da parte del «preside-manager» (detto «sceriffo» o «sindaco»), una norma già contenuta in un analogo provvedimento dei governi Berlusconi e poi Monti (il Ddl Aprea) respinto nel 2012. Questo preside, a metà di un dirigente di azienda e un padre-padrone, sceglierà una parte dei docenti neo-assunti (102 mila) in base al curriculum una volta realizzati gli albi territoriali dal 2016. Gli è stata riconosciuta la facoltà di conferire e rinnovare al docente un incarico triennale in base alla sua discrezionalità. Il preside deciderà anche di aumentare lo stipendio a una minoranza di docenti sulla base di criteri da lui stabiliti nel piano triennale e non in base alla negoziazione contrattuale. Al dirigente scolastico è stata attribuita infine la potestà di rescindere il contratto a chi tra i docenti neo-assuntì non supererà l'anno di prova. In questa cornice sarà ridotto drasticamente il ruolo dei sindacati nella contrattazione, una strategia che rientra nel piano renziano di esautorare il ruolo dei corpi intermedi e della mediazione socio-professionale a favore di una visione autoritaria e personalistica. La riforma approvata ieri ha istituito un comitato di valutazione con genitori e studenti che entra in contrasto con il collegio di istituto e quello dei docenti. Questo organo deciderà sugli aspetti didattici, professionali e salariali, materie sulle quali non ha alcuna competenza specifica e che, anzi, rischia di creare conflitti personali con i docenti. Nei termini di una gestione aziendale questo è il punto di vista del governo preside e comitato di valutazione favoriranno la «customizzazione» della scuola. La libertà di insegnamento sarà subordinata alle esigenze dei «clienti» e la didattica sarà trattata come un «prodotto». Chi non si adatterà alle esigenze del mercato dove concorreranno istituti di serie A e B, o al pubblico che garantisce anche finanziamenti, non sarà giudicato compatibile con la scuola-azienda. Il collegio docenti è stato inoltre esautorato e, con esso, anche la dimensione cooperativa e collegiale del lavoro dei docenti. L'obiettivo della «scuola dell'autonomia», imposta quindici anni fa da Luigi Berlinguer, e faro della pedagogia liberista sostenuta anche dagli eredi del partito comunista (poi Pds, Ds e oggi Pd) è stato pienamente realizzato. Per i sindacati, gli studenti e i docenti che si sono mobilitati in maniera instancabile a partire dallo sciopero generale del 5 maggio scorso, la riforma che istituisce la «chiamata diretta» lede una serie di principi costituzionali come la libertà d'insegnamento. Problemi arriveranno anche dalla creazione dell'organico territoriale dei docenti, dalla disparità di trattamento sulla titolarità d'istituto tra docenti e personale Ata. Nemmeno il tema qualificante della riforma la «scomparsa» del precariato può essere considerato tale. Sono all'incirca 100 mila i docenti precari abilitati e idonei ad altri concorsi esclusi dalle assunzioni; non saranno stabilizzati gli Ata con almeno 36 mesi di servizio, mentre nell'organico di diritto restano scoperti 30 mila posti sul sostegno. Su questi presupposti, da settembre, i sindacati sono d'accordo nel sollevare il più grande contenzioso giudiziario nella storia della scuola italiana. Marcello Pacifico (Anief) annuncia richieste di risarcimenti milionari, mentre Stefano D'Errico (Unicobas) prevede che mancherà il numero legale nei collegi docenti chiamati a votare sul nuovo «organico funzionale». Per Francesco Salma (Cisl Scuola) «il governo si è assunto la grave responsabilità del mancato confronto con la scuola» e Rino Di meglio (Gilda) accusa Renzi di «arroganza e presunzione». La battaglia avverrà anche contro i decreti attuativi avverte Marco Paolo Nigi (Snals / Confsal). .«La mobilitazione continuerà con tutti gli strumenti possibili per contrastare l'applicazione di una legge che fa arretrare il sistema di istruzione» annuncia Domenico Pantaleo (Flc-Cgil). «I sindacati e le strutture di base è l'appello di Piero Bernocchi (Cobas) trovino le modalità comuni nella conduzione della "guerriglia" contro questa legge-porcata». La trasversalità del movimento tiene nonostante la sconfitta annunciata nella prima battaglia contro la «Buona scuola» del governo Renzi.


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