La “riforma del merito” in una scuola che non riesce a incidere sulle disparità sociali
La sensazione, leggendo il progetto di riforma della scuola, è che chi l’ha messo a punto non abbia le idee chiarissime su come funzionano la scuola e l’università
Rosaria Amato
La sensazione, leggendo il progetto di riforma della scuola, è che chi l’ha messo a punto non abbia le idee chiarissime su come funzionano la scuola e l’università. Per esempio la norma secondo la quale ogni istituto superiore dovrà scegliere lo studente dell’anno in base al voto dell’università e alla media degli ultimi tre anni, che avrà in premio uno sconto del 30% delle tasse del primo anno d’università, risulta abbastanza inutile in un sistema universitario che, di solito, esonera gli studenti che hanno preso 100 o 100 e lode alla maturità dal pagamento delle tasse del primo anno. E spesso fornisce agli stessi studenti una borsa di studio. Certo, dipende da università a università. La norma di legge varrebbe invece su tutto il territorio dello Stato. Ma solo per uno studente a scuola, un numero di gran lunga inferiore rispetto a quello degli studenti che attualmente beneficiano dell’esonero garantito dalle varie università.
Altra obiezione che si potrebbe fare (più consona allo stile di questo blog, che si chiama percentualmente) è: c’è una logica nel reperire a fatica i fondi per una riforma non condivisa a fronte di un sistema scolastico gravemente depauperato e sostenuto in misura sempre più consistente dai genitori? Secondo un’indagine pubblicata all’interno del 44° Rapporto del Censis, il 53,1% delle scuole italiane chiede un contributo “volontario” ai genitori, che contribuiscono massicciamente (82,7%). Il contributo serve per “acquistare materiali didattici”, migliorare le dotazioni informatiche, le palestre, persino, nel 43,1% dei casi, per fornire “supporto economico agli studenti più indigenti per assicurare la loro partecipazione alle attività didattico formative”.
Quest’ultima motivazione, certo, rende perplessi. Ma non dovrebbe essere compito dello Stato supportare gli studenti indigenti per permettere loro di partecipare alle attività didattico-formative? Lasciamo stare il fatto che a troppi genitori venga chiesto di comprare la carta igienica per la scuola. Ma il supporto agli studenti indigenti non è tra i compiti della scuola, non è una delle migliori applicazioni del secondo comma dell’articolo 3 della Costituzione, quello che dice che la Repubblica deve rimuovere gli ostacoli che impediscono l’effettiva eguaglianze tra i cittadini? Per inciso, ormai sono tanti anche i genitori che danno la tinta alle pareti. Per il Censis i genitori-operai danno il loro contributo nel 13,6% delle scuole italiane. Ci sono anche i genitori che lavano le tende, e quelli che riparano le sedie, i tavoli e gli armadi.
Infine, è giustissimo valorizzare il merito (per l’appunto, le università lo hanno sempre fatto, con l’esonero delle tasse e le borse di studio, e anche i presidi hanno cercato di fare del loro meglio, fondi permettendo), ma in un Paese come l’Italia, il Paese delle disuguaglianze, il Paese con l’ascensore sociale più bloccato d’Europa, forse la scuola dovrebbe aiutare tutti i ragazzi economicamente svantaggiati (non solo il primo della classe) a emergere, a inserirsi in una società che fa di tutto per tenerli “al loro posto”, ben fermi all’interno della classe sociale alla quale appartengono, senza poter fare neanche un passetto in avanti. Circostanza ampiamente analizzata dall’ultimo Rapporto Istat: in Italia appena il 20,3% dei figli degli operai è arrivato all’università, contro il 61,9% dei figli delle classi agiate, della generazione nata negli anni ‘80. Il 30% dei figli degli operai abbandona le scuole superiori contro appena il 6,7% dei figli di dirigenti, imprenditori, liberi professionisti. Negli altri Paesi non funziona così, anche perché in Italia la dispersione scolastica è molto più alta chee altrove, prova ne è questo grafico dell’Ocse:
Dietro di noi ci sono pochissimi Paesi: Islanda, Spagna, Portogallo, Messico e Turchia. La stessa Ocse all’inizio di quest’anno ha pubblicato uno studio dal quale emerge che “coloro che hanno la maggiore probabilità di andare male a scuola o di abbandonarla senza diplomarsi molto spesso vengono da famiglie povere o di immigrati”. Da qui l’invito a dotare le scuole di finanziamenti ad hoc per aiutarle a inserire gli studenti di famiglie povere. Suggerimento al momento ignorato.