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La ricerca scientifica e la fuga dei servitori dello Stato

di Carlo Bernardini

15/02/2015
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ROARS

Si è molto parlato della fuga dei cervelli, fino a farla diventare un luogo comune. E, in effetti, per l’Italia questo è stato un problema cronico, come dimostrato, dalla dissoluzione pre-bellica della Scuola di fisica di Roma, aggravata delle minacce razziste. Tuttavia, subito dopo la fine della guerra, il fenomeno ha stimolato le menti rimaste fortunosamente in patria a riorganizzare la struttura del sistema di ricerca. Edoardo Amaldi comprese che bisognava riattivare le collaborazioni sia tra i fisici italiani che tra gli italiani e quelli di tutto il resto del mondo. Invece di continuare a rotolarci nel fango dei corrotti, incominciamo finalmente a fare rivivere la memoria dei migliori. Se non avremo figure di “illuminati decisionisti” disposti ad assumersi la responsabilità di mettere in moto progetti nuovi e promettenti di ricerca, liberandosi da modelli economici senza prospettive di lunga durata, l’Italia è destinata a subire le pretese di altre sovranità nazionali.

Si è molto parlato del problema della fuga dei cervelli, fino a farlo diventare un luogo comune. E, in effetti, per l’Italia questo è stato un problema cronico, come dimostrato, per esempio, dalla dissoluzione pre-bellica della Scuola di fisica di Roma, aggravata delle minacce razziste. Eppure, nei personaggi come Pietro Blaserna, Orso Mario Corbino, Enrico Fermi e i loro allievi e collaboratori, c’erano tutte le premesse per una vera “politica della ricerca” di straordinario livello; azzerata negli anni da miserevoli fatti politici e non da corruzione dell’ambiente accademico. E non penso solo ai fisici, ma anche ai biologi come Renato Dulbecco, Daniel Bovet, Giuseppe Montalenti, Rita Levi Montalcini; a chimici come Natta, a matematici come De Giorgi: tutti nomi da ripescare da un ingiusto dimenticatoio: quanti sanno che grazie a Antonio Ruberti l’Italia ha avuto una stazione di ricerca in Antartide? I nostri giovani sanno davvero cosa era la “politica della ricerca”?

Tuttavia, possiamo ricordare che subito dopo la fine della guerra, il fenomeno ha stimolato le menti rimaste fortunosamente in patria a riorganizzare la struttura del sistema di ricerca, particolarmente in alcuni settori molto avanzati come quello della fisica. Sono spuntati perciò, allora, accanto a ricercatori di eccellente cultura e competenza, anche alcuni scienziati che hanno ritenuto indispensabile “far politica”, cioè sviluppare un settore di importanza primaria per lo sviluppo del Paese e del welfare. Per esempio, Edoardo Amaldi, allievo di Enrico Fermi (che già aveva conquistato il Nobel nel 1938 con le sue ricerche romane sulla fisica dei neutroni).

Amaldi comprese ben presto che bisognava riattivare le collaborazioni sia tra i fisici italiani che tra gli italiani e quelli di tutto il resto del mondo, avendo una chiara idea – ben prima che si parlasse di unificazione europea – del fatto che l’evoluzione culturale non può essere che un’impresa sovranazionale. Amaldi si rivelò così quello che oggi possiamo chiamare un perfetto servitore dello Stato perché le sue proposte, più che mirare al soddisfacimento di suoi interessi personali o accademici, puntavano alla promozione dell’accreditamento mondiale della fisica italiana.

Fu così che Amaldi, già ben noto a tutta la comunità internazionale, si qualificò come il promotore principale di imprese (Europee!!!) come la CECA (Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio), EURATOM (per lo sviluppo dello sfruttamento dell’Energia Atomica), il CERN (Centro Europeo di Ricerca Nucleare) e, più tardi, dell’ESA (European Space Agency): in tutte queste imprese gli scienziati italiani ebbero collocazioni e ruoli di primo piano, ivi compresa una intensa attività di freno delle attività militari industriali accompagnata da una politica disarmista internazionale (Movimento Einstein Russell; Unione degli Scienziati per il Disarmo).

Amaldi trovò un terreno fertile sia nel suo campo specialistico che in quello politico, indipendentemente dalle esigenze ideologiche di ciascuna politica): sicché le sue imprese lasciarono un segno che ancora oggi è chiaramente visibile nelle strutture di ricerca che abbiamo ereditato: particolarmente l’INFN (Istituto Nazionale di Fisica Nucleare), con i suoi laboratori nazionali,  aperti all’attività senza limiti geografici. Le modalità di gestione potevano vantarsi, per precisa scelta dei promotori, di servire a tenere a bada gli eccessivi vincoli burocratici degli ambienti ministeriali ed erano in particolare affidate a consigli scientifici elettivi, che pure contenevano un esiguo numero di funzionari con mero ruolo di consulenza nel merito, e non da Consigli di amministrazione.

Amaldi si giovò del contributo di tutti i suoi colleghi, ma, in particolare, di alcune figure dinamiche e intraprendenti, come quella di Felice Ippolito, che staccò dal CNR – Consiglio Nazionale della Ricerche – un CNRN dedicato al settore nucleare. Tutta la comunità scientifica nazionale dette il pieno consenso a queste iniziative.

Un fenomeno da segnalare è quello del reclutamento di laureati che, nonostante la giovanissima età, si vedevano affidate responsabilità di realizzazione di progetti, sotto la direzione di esperti appena più anziani di loro. Tra questi, la memoria va in particolare al già menzionato professor Felice Ippolito, che arrivò a sfidare le resistenze del vecchio apparato industriale procedendo alla pretesa del controllo pubblico di attività remunerative come l’uso delle risorse energetiche, pagando personalmente con un processo memorabile il suo coraggio lungimirante.

Nello stesso periodo, si svolsero altri avvenimenti dovuti a questa dinamica intraprendenza di dirigenti non condizionati dalla politica che già difendeva interessi privati (vedi il caso estremo di Enrico Mattei).

A questo punto, è il caso di chiedersi: dove sono finiti i veri servitori dello Stato? Oggi, infatti, sembra che l’ambiente scientifico italiano sia progressivamente ricaduto nella palude stagnante degli interessi meramente accademici, come se fosse una componente anomala della società politico-intellettuale.

Se non avremo figure di “illuminati decisionisti” disposti ad assumersi la responsabilità di mettere in moto progetti nuovi e promettenti di ricerca, liberandosi da modelli economici senza prospettive di lunga durata, l’Italia è destinata a subire le pretese di altre sovranità nazionali. E’ quindi interesse e compito di tutti noi orientare l’informazione sulle figure promettenti, senza esaurire il dibattito nei meandri dell’inefficienza spesso anche dolosa: invece di continuare a rotolarci nel fango dei corrotti, incominciamo finalmente a fare rivivere la memoria dei migliori, se ci sono ancora Servitori dello Stato rimasti in questo paese che non può essere straordinario solo nei ricordi degli anziani.

(Pubblicato su Micromega)


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