La professione impossibile-Intervista a Pasquale Picone, psicanalista
www.casadellacultura.it La professione impossibile Intervista a Pasquale Picone, psicanalista di Agnese Bertello Per Freud l'insegnamento era una delle professioni impossibili, insieme alla p...
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La professione impossibile
Intervista a Pasquale Picone, psicanalista
di Agnese Bertello
Per Freud l'insegnamento era una delle professioni impossibili, insieme alla psicoanalisi.Jung riteneva fondamentale la formazione permamente dell'insegnante. Alcuni psicanalist che da tempo lavorano con gli insegnanti hanno riscontrato analogie tra le professioni. Vediamo quali.
Come ha cominciato a occuparsi del burnout degli insegnanti?
Potrei situare l'inizio dell'interesse per il burnout degli insegnanti da una serie di interrogativi che sorgono, credo, in ogni psicoanalista che si ritrova inevitabilmente a lavorare sui ricordi, le rimozioni, i traumi e i significati archetipici, dei propri pazienti, che si riferiscono espressamente al periodo scolastico. Già Freud in Analisi terminabile e interminabile, un testo della sua maturità scientifica, situava il lavoro del docente tra le professioni "impossibili", per la loro complessità, insieme a quella dello psicoanalista. Si trovava così a stabilire, tra le due professioni, un evidente parallelismo. La figlia Anna, anch'ella psicoanalista, lavorò a lungo nelle scuole dell'infanzia. C. G. Jung, l'altro fondatore di uno dei rami della psicoanalisi, sino alla fine della sua vita ebbe occasione di ribadire l'estrema importanza della formazione permanente del docente, come condizione senza la quale è illusorio pensare di formare gli studenti. Non vi è dubbio che la scuola non è solo un apparato di mera trasmissione delle conoscenze. Nell'organizzazione sociale contemporanea essa costituisce il comparto della prevenzione psicologica. Tali interrogativi mi hanno spinto a prendere coscienza di tutto un filone di studi che si è andato accumulando nell'ultimo decennio sul malessere degli insegnanti. Da un punto di vista di teoria delle organizzazioni, e grazie agli studi di Kets De Vries, uno psicoanalista che si occupa di gestione aziendale e di management, la scuola, per molti versi, si presenta come un organismo nevrotico e irrazionale.
Ci parli della sua esperienza con questo gruppo di insegnanti: come è nata, chi ha coinvolto e come è stata strutturata?
Il lavoro che ho svolto nello scorso anno scolastico, analogamente ad altre esperienze precedenti, con insegnanti di scuola elementare e dell'infanzia, è nato dall'esigenza delle insegnanti stesse di elaborare alcuni aspetti della loro esperienza professionale. Ha coinvolto due gruppi di circa dieci insegnanti ciascuno, con sedute di circa una volta al mese della durata di tre ore, per un totale complessivo di cinque sedute. Il limitato budget della scuola non consentiva un lavoro più sistematico.
Molti docenti che ho intervistato strada facendo hanno espresso la necessità di avere un maggiore contatto con il mondo esterno, la possibilità di riflettere sul loro operato, di guardarsi e di essere guardati dall'esterno.
È un po' questo il tipo di analisi sulla vita in classe che avete portato avanti?
L'esigenza di un maggiore contatto con il mondo esterno è direttamente proporzionale alla chiusura del proprio ambiente di lavoro. Le scuole, intese come singoli Istituti, rischiano in più casi di quelli di cui si ha normalmente coscienza, di trasformarsi in ciò che in sociologia fu definito "istituzione totale" di cui una delle caratteristiche, tra l'altro, è quella di snaturare la propria ragion d'essere, cioè la formazione dei giovani. Qualcosa del genere viene esemplificato nel film L'attimo fuggente. La possibilità di riflettere sull'operato di una professione così complessa è, simultaneamente, sia un'esigenza di mantenimento di un soddisfacente livello di identità professionale, sia un fattore strutturale nell'epistemologia delle scienze della formazione. Riflettere significa, sostanzialmente, analizzare ed elaborare i dati che si accumulano nell'esperienza di tutti i giorni. Significa aprirsi ad un'attività di supervisione orientata a stabilizzare e nutrire l'autostima, l'efficienza, l'efficacia e il piacere professionale. Ogni insegnante è un catalizzatore di dati di esperienza interna ed esterna. Le relazioni tra gli studenti, le dinamiche del gruppo-classe, i processi cognitivi, il transfert che gli studenti hanno nei suoi confronti, ecc. sono i dati esterni. I propri processi cognitivi, le capacità di comunicazione, il controtransfert verso i singoli studenti e verso il gruppo-classe come un tutto, ecc. sono i dati interni. Svolgendo attività di supervisione i docenti si ritrovano ad applicare una metodologia di osservazione ed auto-osservazione di tutti i processi che caratterizzano il setting scolastico, il quotidiano lavoro d'aula. E' questo il tipo di analisi sulla vita, in classe e di classe, che abbiamo portato avanti nel nostro lavoro. Poterli elaborare con sufficiente sistematicità significa lavorare per il proprio benessere e per quello dei propri allievi. Nel corso del nostro lavoro, ad esempio, si sono potuti toccare con mano i casi che dimostrano un altro assunto epistemologico: l'efficacia dei processi cognitivi degli studenti è una variabile dipendente dalla qualità della relazione che i docenti realizzano. In tal senso il clima di classe è un altro fattore decisivo.
Ricorda alcune specifiche situazioni che, per una ragione o per l'altra, le hanno dato motivo di maggiore riflessione?
Senz'altro. In un lavoro precedente, un docente di una terza classe di liceo aveva una serie di problemi, in quella specifica classe, che non riscontrava nelle altre classi. Diversi minuti furono dedicati a stimolare una descrizione più accurata della composizione della classe, della sua ubicazione spaziale, ecc. Venne fuori che la classe era situata al terzo piano tra due corridoi sui quali aveva ambedue le uscite. Spesso gli stessi colleghi, per andare da un corridoio all'altro, anziché scendere al piano di sotto, attraversavano l'aula in pieno orario di lezione. In un'ora di lezione la classe poteva avere anche sette o otto interruzioni. Ovviamente l'insegnante ne era irritato. La sua irritazione traspariva dal suo volto e si comunicava in modo non verbale agli studenti. Tuttavia non affrontava il problema con i colleghi o con il dirigente scolastico. In più, nella classe c'era un'allieva svantaggiata che fruiva di una insegnante di sostegno, le quali spesso parlottavano tra di loro. Una situazione ideale per gli studenti meno motivati che, cogliendo al volo le occasioni di disturbo e di distrazione, ne propagavano la diffusione a tutta la classe. Questo ed altri dati simili mi hanno portato a riflettere maggiormente sui meccanismi di difesa di docenti che, vivendo in ambienti in cui la qualità professionale di alcuni membri del corpo docente non è sempre delle più alte, preferiscono evitare il chiarimento di una relazione disfunzionale, per paura del conflitto. Ma in tal modo si determina un depauperamento della percezione di fattori pur evidenti e, di conseguenza, della possibilità di padroneggiarli.
Un'altra situazione fu descritta, con non poca difficoltà, da una maestra di scuola dell'infanzia. Aveva una decina d'anni di lavoro nella scuola ma il suo primo anno era stato particolarmente frustrante. La madre di una bambina svantaggiata l'aveva continuamente denigrata e offesa nelle sue capacità. Lei si portava dentro un acuto senso di disistima professionale. La ricostruzione dell'evento mise in evidenza che la maestra era stata oggetto di una "identificazione proiettiva" negativa da parte della madre della bambina. L'identificazione proiettiva è un meccanismo inconscio che spinge un soggetto ad inoculare una propria parte negativa in un altro. Quella madre, in sintesi, aveva usato la maestra per scaricare il suo senso di colpa e la sua sofferenza di avere una bambina svantaggiata. Lo studio dell'identificazione proiettiva è un passaggio importante nella supervisione degli psicoanalisti in formazione. La mia riflessione si è arricchita di numerose verifiche sui parallelismi e le analogie tra l'attività del docente e quella dello psicoanalista.
Che peso hanno, sia nell'incancrenirsi della condizione di burnout sia nel trovare risorse per uscirne, i colleghi di lavoro?
Già nel caso precedente del docente della classe "di passaggio" c'è un abbozzo di risposta sul ruolo dei colleghi. Senza tema di esagerare, posso affermare, alla luce di non pochi anni di lavoro nella scuola, che il ruolo dei colleghi nella fase di insorgenza, nella fase acuta e in quella cronica del burnout è decisivo; è determinante. Nelle scuole è raro trovare un clima di stima e di crescita professionale reciproca tra i docenti. Spesso i migliori e i più motivati vengono di fatto emarginati. L'invidia è molto diffusa, insieme al conformismo, all'istinto di affiliazione acritica, all'acquiscenza e all'obbedienza passiva verso il dirigente. Questa situazione è aggravata dal fatto, non proprio raro, che il dirigente, a sua volta vittima di insicurezze e disagi professionali, assuma atteggiamenti e comportamenti da mobbing verso gli insegnanti.
È altrettanto vero che i colleghi sarebbero decisivi nel trovare e nel fungere essi stessi da risorse per uscire dal burnout. Ma il condizionale è d'obbligo perché quest'ultimo rappresenta un obiettivo del futuro. Il cui raggiungimento è possibile, con realismo, senza facili ottimismi.
Quali sono, secondo lei, gli interventi da realizzare per consentire al docente di vivere meglio la sua professione e di insegnare meglio?
Allo stato attuale gli interventi finalizzati ad innescare dei circoli virtuosi tra miglioramento della professionalità dei docenti, l'autostima professionale, il benessere personale, il clima di classe e il benessere degli allievi, sono quelli di Supervisione Didattica di gruppo o individuale condotta da esperti (psicoanalisti, psicologi clinici, psicologi del lavoro e delle organizzazioni, psicoterapeuti). Altri interventi sono l'analisi e l'approccio di supervisione al gruppo classe, al Consiglio di Classe e l'osservazione delle dinamiche del Collegio Docenti. Forse, se si aspetta che la scuola attinga dal proprio budget per simili iniziative, esse rimarranno rare e poco sistematiche. C'è bisogno che i singoli docenti si facciano carico, almeno in parte, dei costi individuali di un lavoro orientato ad aumentare il proprio benessere personale e professionale.
Si dovrebbe diffondere nelle scuola la consulenza organizzativa, ma ciò presuppone una formazione permanente dei dirigenti scolastici in analogia all'Educazione Continua in Medicina, che è un sistema per crediti che può agevolare o penalizzare la carriera.
Un altro futuro intervento decisivo, la cui responsabilità è dei decisori politico-istituzionali, è la creazione di una stabile e reale carriera intermedia tra il ruolo di docente e quella di dirigente scolastico. Nell'università esistono quattro o cinque fasce di docenza, prima dei ruoli di direttore di dipartimento, preside di facoltà, rettore. La carriera intermedia dovrebbe essere strutturata come sistema di motivazione e rimotivazione continua degli insegnanti. E rappresentare un dispositivo capace di far sì che il gruppo dei docenti più motivati, che ha più investito sulla propria formazione, rivesta un ruolo stabile ed ufficialmente trainante, di guida, di leadership del Collegio Docenti.