La politica pilota la scienza con l’ossessione delle citazioni
Thomas Ferguson – Il politologo Usa sul caso delle promozioni incrociate tra studiosi italiani: “La bibliometria è usata per nascondere gli studi sgraditi”
Laura Margottini
Uno studio scientifico realizzato da tre studiosi italiani, pubblicato dalla rivista PlosOne e poi ripreso sia da Science che da Nature ha svelato come il record bibliometrico italiano – il boom di citazioni delle ricerche scientifiche che si è registrato negli ultimi anni – sia stato in realtà dopato. In sintesi, nel 2010 in Italia viene introdotto un sistema di valutazione della ricerca che si basa su indicatori quantitativi, dai punteggi associati al numero di studi prodotti al prestigio della rivista che li pubblica, fino alle citazioni che si ricevono in altri studi. Indicatori necessari anche per l’abilitazione ai concorsi da professore universitario. Questo sistema, secondo lo studio, ha favorito negli anni un fitto ricorso alle autocitazioni e al loro scambio strumentale e portato l’Italia ad essere tra i primi al Mondo per numero di citazioni. “Il problema della valutazione con criteri bibliometrici impatta anche sui cittadini e la democrazia”, spiega Thomas Ferguson, professore emerito di scienze politiche ed economiche all’università del Massachusetts e Direttore della ricerca dell’Istituto per un nuovo pensiero economico (Inet) di New York.
Professore, perché questo studio è importante?
È l’equivalente bibliometrico della legge di Goodhart per la regolamentazione bancaria: se un indicatore che misura l’efficienza diventa un obiettivo, smette di essere una buona misura. Già nel 2006, l’economista Luigi Pasinetti disse che una valutazione a punti avrebbe solo contribuito a corrompere il sistema.
Ma la valutazione nasceva con legge Gelmini proprio per arginare la corruzione.
È quindi ironico come abbia finito per incentivarla. La qualità della ricerca non si può misurare con una manciata di indicatori numerici che spesso non hanno nulla a che vedere con essa.
Quali sono le conseguenze?
Molti studi non vedranno mai la luce perché i ricercatori sanno che non aumenteranno nell’immediato il numero di citazioni e l’Impact factor (l’indicatore che misura la qualità delle riviste scientifiche, ndr). Così i sistemi di valutazione fermano il cambiamento. In Economia, per dire, hanno portato all’impoverimento del dibattito scientifico e del pluralismo delle idee.
In che senso?
In Italia sono stati cancellati i dottorati di ricerca in Storia del pensiero economico, settore cruciale per comprendere l’economia. Dal 2008 è in corso una protesta di studenti e accademici per il modo in cui vengono insegnate le scienze economiche. L’Italia è un esempio estremo, ma il problema è anche all’estero dove si valutano le ricerche guardando soprattutto alle riviste in cui sono pubblicate. James Heckman, Nobel per l’economia nel 2000, parla di “maledizione delle top-five”, delle cinque riviste americane considerate più importanti al mondo, sotto il controllo di gruppi ristretti di economisti e pochissime università. Pubblicare su quelle riviste assicura carriere e promozioni. Ma così le idee nuove non riescono a permeare il sistema.
Cosa si dovrebbe fare?
Per esempio lasciare che i ricercatori scelgano tre loro lavori scientifici da sottoporre alla lettura di una vasta coorte di docenti del dipartimento cui fanno domanda. Governi e loro agenzie dovrebbero smettere di occuparsi di valutare la ricerca. È meglio un sistema in cui ogni accademico giustifichi in modo trasparente i ricercatori a cui offre una posizione, piuttosto che nascondersi dietro indicatori bibliometrici usati, tra l’altro, anche dalla politica.
Come?
Come copertura per escludere risultati scientifici e teorie che non piacciono a chi è al governo. Le scienze economiche sono particolarmente soggette a questo tipo di ingerenza. La falsa teoria secondo cui l’economia dei paesi del sud dell’Eurozona sarebbe potuta tornare a prosperare con politiche di austerità ne è un esempio drammatico.
La politica interferisce nel decretare quali ricercatori vanno considerati esperti del settore?
Sì. Da un lato, i ricercatori sono considerati persone da tenere sotto controllo che devono rispondere del loro operato; dall’altro alcuni di loro, attentamente selezionati, diventano misteriosamente esperti incontestabili quando si tratta di fornire supporto scientifico per certe politiche per non lasciare spazio a chi potrebbe metterle in discussione. Gli stessi tagli ai fondi per la ricerca e al diritto allo studio sono stati decisi sulla base di discutibili teorie economiche. Per questo l’autonomia, la libertà e la pluralità di idee nella comunità scientifica deve essere preservata.
Quindi i tagli aumentano la corruzione nell’Università?
Certo. I ricercatori stanno combattendo per le briciole rimaste dopo anni di austerità. I giovani sono i più penalizzati. Se l’Italia non vuole sprecare talento e tradizione scientifica aumenti fondi per ricerca ed educazione.