La più grande chiusura della scuola da marzo 2020
Da lunedì sei milioni di studenti saranno in didattica a distanza. Tre studenti su quattro seguiranno le lezioni dai computer a casa. I Cinque Stelle criticano il premier Draghi: «Chiudono le classi, restano aperti altri spazi di socializzazione. Un paradosso»
Roberto Ciccarelli
Il nuovo Dpcm raddoppierà gli studenti in didattica a distanza (Dad) nelle scuole di ogni ordine e grado. Dagli attuali oltre tre milioni a sei milioni in quattordici regioni su 20 . Parliamo di 2 milioni e 700 mila bambini della scuola dell’infanzia e primaria, un milione e 200 mila alunni delle medie e 2 milioni e 300 mila studenti delle superiori. Da marzo dell’anno scorso mai, fino ad oggi, c’è stata una serrata delle scuole così vasta e forte: 3 alunni su 4 saranno in Dad a breve. Le stime della rivista Tuttoscuola dimostrano che un’ampia fascia di scuole erano già in Dad prima dell’entrata in Dpcm per il prossimo mese secondo modalità variabili, in particolare nelle superiori tra il 50% e il 75% delle presenze. E, soprattutto, non va dimenticate le regioni del Sud che hanno messo in Dad gli studenti con la modalità «on demand»: i genitori si prendono la responsabilità di mandare i figli in classe. Sono la Puglia (fino al 14 marzo), Calabria e Campania. Qui l’ultima chiusura è stata giustificata per »vaccinare i docenti».
ZONE ROSSE per la variante inglese a parte, il criterio fissato dal governo per le chiusure delle scuole nelle zone gialle e arancioni nel caso di un contagio che supera i 250 casi per 100 mila abitanti potrebbe persino mettere un ordine nel caos provocato dalle autonomie differenziate create dalle regioni. Il Tar delle Marche ha respinto il ricorso presentato dal nodo locale del movimento «Priorità alla scuola» (Pas) contro il ritorno in Dad delle seconde e terze medie delle province di Ancona e Macerata. I giudici amministrativi hanno chiesto alla regione di rivalutare la situazione, «alla stregua della nuova disciplina e dell’evolversi dei rilievi epidemiologici» tenendo presente «la necessità di non penalizzare in via prevalente il diritto all’istruzione scolastica in presenza rispetto ad altri concomitanti fattori di rischio ambientale sicuramente maggiormente significativi per le stesse fasce d’età, allo stato non adeguatamente controllati e repressi». Ad esempio, i luoghi di ritrovo, gli ipermercati o luoghi di lavoro ad alto tasso di assembramenti. Questo aspetto decisivo è difficile da definire mancando un sistema di tracciamento dei contagi e una conoscenza dei dati specifica.
È IN QUESTO QUADRO che stanno ripartendo, per ora online e il 26 marzo in piazza, le proteste in tutto il paese: senza conscere le cause dei contagi, si colpisce la scuola e dunque gli studenti. «In mancanza di screening mirati alla popolazione scolastica dove si verificano casi commentano gli attivisti marchigiani di Pas – non vi sono certezze che l’aumento dei contagi dipenda dalla scuola».
UNA RICERCA della Fondazione Kessler e dell’Iss, pubblicata sulla rivista Pnas, ha sostenuto che l’attività scolastica nella fascia 0-13 anni ha avuto nelle due settimane successive all’apertura di settembre un impatto limitato sull’indice di contagio Rt, ma importante nella fascia 14-19 anni. Ciò non spiega però la persistenza dei contagi dopo la chiusura delle superiori da novembre. Andrà verificato se le chiusure anche delle scuole dei più piccoli, ai quali alcuni studi addebitano la responsabilità involontaria dei contagi, avrà un effetto sulla decrescita dei contagi nel prossimo mese. Se non sarà il governo, com’è probabile, a chiedere ai presidenti delle regioni di ripensare le loro chiusure, potrebbero essere di nuovo i Tar di mezza Italia a farlo, sollecitati dai nuovi ricorsi. Così continuerà il caos giuridico prodotto dalla volontà, a quanto pare anche del nuovo esecutivo, di non centralizzare anche le politiche scolastiche in caso di emergenza epidemiologica come si desume dalla sentenza della Corte costituzionale del 24 febbraio scorso, di cui ora si attendono le motivazioni. Se così fosse, in quel caso, non è escluso che i risultati non siano gli stessi di oggi. Per il momento i nuovi criteri potrebbero essere, a loro volta, oggetto di nuove interpretazioni da parte delle regioni. Il presidente del Piemonte Cirio ieri ha sostenuto che se l’Unità di crisi verificherà l’eventuale esistenza di uno dei tre presupposti indicati dal Comitato tecnico scientifico le scuole chiuderanno automaticamente.
LA SCUOLA in modalità virtuale sta provocando mal di pancia nella maxi-maggioranza. «Il Dpcm è una decisione paradossale, un pericolo passo indietro. Si chiudono le scuole, si lasciano aperti altri spazi di socializzazione, rischiando di diffondere ancora di più il virus» sostengono i deputati in commissione cultura. I paradossi erano gli stessi quando c’era il governo «Conte 2».