La Nuova Ferrara: I ricercatori precari, generazione gettata via
Il 60% di coloro che fanno ricerca all’interno dell’ateneo estense sono ricercatori qualificati ma precari che sperimentano quotidianamente e da troppo tempo sulla propria pelle le difficoltà in cui versa l’intera Università italiana.
I ricercatori precari dell’Università degli Studi di Ferrara, nonché le loro famiglie, hanno deciso durante l’assemblea plenaria dello scorso 22 maggio, di non devolvere per quest’anno il 5 per mille al loro ateneo, in considerazione della destinazione che ne verrà fatta: acquisto di «sofisticate e costose attrezzature».
Pur riconoscendo che il parco tecnologico della nostra università ha certamente la necessità di rinnovarsi, la vera emergenza in questo momento è un’altra e cioè chi utilizzerà quegli strumenti, una volta acquistati.
Il 60% di coloro che fanno ricerca all’interno dell’ateneo estense sono ricercatori qualificati ma precari che sperimentano quotidianamente e da troppo tempo sulla propria pelle le difficoltà in cui versa l’intera Università italiana.
Concordiamo sul fatto che la ricerca è un bene primario del Paese e che il sistema universitario è la struttura portante della ricerca, ma riteniamo che in quanto tale l’Università debba prima di tutto dotarsi di fondamenta robuste, muovendosi nella direzione che porta alla valorizzazione e alla stabilizzazione delle sue risorse umane.
I ricercatori precari sono qualcosa di concreto, molto più di qualsiasi attrezzatura, ed è bene ricordare che la ricerca non è un processo spontaneo ma ha bisogno di persone, di competenze e di esperienze. Per questo siamo convinti che l’annunciato investimento in attrezzature sia, in questo momento, inopportuno.
Chi potrà usarle? Ricercatori precari che non sanno dove saranno tra un anno o tra qualche mese? E quando questi, non trovando spazio se ne andranno, quanti soldi occorreranno per formare altri ricercatori precari che siano in grado di usarle?
Chi ci assicura che questi macchinari saranno realmente e continuativamente utilizzati se il 60% del personale che opera nell’Università di Ferrara è costituito da persone la cui continuità lavorativa non è garantita? Queste persone non sono disponibili a finanziare le attrezzature in luogo del proprio lavoro. Ancor meno lo sono le loro famiglie per i sacrifici fatti per i proprio figli e per quelli da fare ogni giorno non potendo contare sulla sicurezza di uno stipendio.
I ricercatori precari si sono fatti carico del funzionamento e della stabilità dell’università, a Ferrara come nel resto del paese, compensando con la propria professionalità una politica stolta che premierà l’anzianità anziché i meriti, favorendo le progressioni di carriera anziché le nuove assunzioni. Inoltre, paradossalmente, moltissime risorse vitali vengono destinate agli stipendi di professori anziani che si oppongono alla naturale conclusione della loro carriera: un duplice furto, anche se spesso inconsapevole, a danno di una intera generazione di giovani ricercatori, scippati della possibilità di un lavoro stabile; e della università, presidiata da un personale anziano proprio nel momento in cui il paese ha bisogno di ritrovare una dimensione europea attraverso la sua capacità di ricerca. C’è disperato bisogno di investire nelle risorse umane, in quella generazione di ricercatori che sta per essere irrimediabilmente perduta anche a Ferrara: le attrezzature da sole non producono, non funzionano, sono strumenti per l’appunto.
Si è mai vista una zappa funzionare senza il contadino?
I ricercatori precari dell’Università di Ferrara