La maestra elementare “Seguire i bambini, non caricarli”
«Faccio appello ai colleghi: non ingozzate i vostri alunni di compiti, non sono oche. Piuttosto, fatevi sentire: più che il programma, conta non interrompere il filo della comunicazione con loro».
Ilaria Venturi
«Faccio appello ai colleghi: non ingozzate i vostri alunni di compiti, non sono oche. Piuttosto, fatevi sentire: più che il programma, conta non interrompere il filo della comunicazione con loro». Marzia Mascagni insegna da trentacinque anni alla primaria, è maestra di Longhena da ventotto. Una di lungo corso, insomma, che vede cosa sta succedendo con la didattica a distanza a cui è costretta la scuola ai tempi del coronavirus. C’è chi la fa riempiendo di compiti gli alunni, un problema che riguarda soprattutto le elementari e le medie, sollevato dalle famiglie, ma che trova concordi anche molti insegnanti.
Maestra Mascagni, parecchie famiglie lamentano una valanga di esercizi dati da fare a casa.
Giusto o sbagliato assegnare i compiti?
«Un po’ va bene, ma non bisogna esagerare. Non è questa la didattica a distanza. Capisco che non eravamo preparati, la stragrande maggioranza di noi non aveva fatto corsi di aggiornamento, ci stiamo arrabattando. Anche per me, che appartengo alla generazione carta e penna, è stato difficile. Ci siamo dovuti reinventare ed è giusto averlo fatto in questa emergenza.
Ma la soluzione non è dare tanti compiti da fare. I docenti non capiscono che a casa sono tutti in grande difficoltà».
Ci sono famiglie che non hanno computer o connessioni adeguate.
«Non tutti hanno i mezzi a casa per accedere ai compiti: stampanti per le schede, computer per tutti i figli o anche uno solo. C’è chi usa il cellulare, ma non tutti i genitori riescono poi a seguirli, per motivi culturali o perché lavorano.
Bisogna tenerne conto. In classe i bimbi sono tutti uguali, a casa non lo sono».
Cosa conta di più in questa emergenza che ha chiuso le scuole?
«Farsi sentire, mandare un messaggio alle famiglie e ai bambini: la scuola c’è, non vi preoccupate. Occorre non interrompere il filo della comunicazione, e allora serve farsi sentire ogni giorno».
Come farlo?
«Alla mia terza propongo un capitolo al giorno de “Il viaggio dell’orca zoppa” di Guido Quarzo.
Faccio il video, lo mando in whatsApp ai genitori che glielo fanno vedere. Ho chiesto anche di continuare il diario che in genere facciamo per i momenti speciali e le vacanze: una paginetta per raccontare come stanno vivendo questa situazione. Sono solo esempi, la creatività non manca.
Faccio fare anche un po’ di compiti, ma senza eccessi. C’è chi dà venti divisioni in una volta, chi assegna tre testi in un giorno e dieci pagine di grammatica. Credo non serva e crea più disparità tra chi può avere i genitori accanto ad aiutarli, necessari anche solo per l’accesso al digitale, e chi no».
La preoccupazione è di rimanere indietro col programma.
«Anche se dovessimo tornare a scuola a settembre, come credo possa accadere, non avrei quest’ansia. Il programma si recupera. Importante in questo periodo duro per tutti non perdere i bambini per strada, far sentire loro che sono pensati e non lasciati soli dalla scuola. E non scaricare sui genitori, chiedendo loro di improvvisarsi maestri, ancora più tensioni».
Ma c’è anche chi chiede più compiti.
«Siamo noi insegnanti che abbiamo il polso della classe, che conosciamo i bambini: i più veloci e quelli che hanno bisogno di tempi più lunghi. Dunque le famiglie, che vedono solo i loro figli, vanno tranquillizzate. Siamo noi maestre che dobbiamo decidere pensando al bene di tutti».