La legge di bilancio 2017 e la prossima battaglia su università e ricerca
Su quale legittimazione si basano le decisioni assunte sull'università italiana?
Antonio Bonatesta
Entro il prossimo 20 ottobre il governo dovrà rendere noti i contenuti della legge di bilancio 2017, che manda in soffitta la vecchia legge di stabilità. Questo passaggio riveste notevole importanza, per almeno due motivi. Il primo è che l'esecutivo ha sbandierato l'ambizione di promuovere una manovra espansiva, nonostante le polemiche sulle previsioni di crescita del Pil. Il secondo è che, almeno per quanto concerne le misure relative a università e ricerca, sulla prossima legge di Bilancio dovrebbe pesare la mozione del 29 giugno scorso con cui il parlamento, ad amplissima maggioranza, ha impegnato il governo a rendere più eque dal punto di vista sociale e territoriale le politiche sull'università, a partire dal diritto allo studio e dalla ripartizione dei finanziamenti tra gli atenei. Come alcuni osservatori avevano sottolineato già in piena estate, tale presa di posizione era stata ignorata dal ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca (Miur) che, una settimana dopo la mozione, aveva erogato le risorse del fondo di finanziamento dell'università con i vecchi criteri.
È un fatto che deve far riflettere. Su quale legittimazione si basano le decisioni assunte sull'università italiana? Negli ultimi anni, nonostante quattro governi diversi, un'idea-forza potente e prepotente ha goduto di grande continuità: ristrutturare la geografia del potere accademico concentrandolo in pochi poli. Da questo orientamento discendono le politiche di "abbandono programmato" a danno di larga parte delle università del Mezzogiorno e delle altre aree deboli del paese, da chiudere o declassare al rango di atenei di "serie B".
Ora però i tempi sono maturi per soppesare i rapporti istituzionali tra ramo legislativo e ramo esecutivo e capire se, su temi come diritto allo studio e reclutamento accademico il governo intende dare respiro alle indicazioni del parlamento o se voglia, invece, limitarsi a misure "spot". Le grandi manovre, a dire il vero, sono già cominciate. Gli studenti hanno da tempo costruito un percorso legislativo di iniziativa popolare per il diritto allo studio (la campagna "All-in"), il cui paradigma inclusivo è in rotta di collisione con lo "student act" proposto dal governo, che prevede 500 borse per studenti super-meritevoli.
Si va dunque di 500 in 500, come per le cosiddette "cattedre Natta" destinate ad altrettanti professori anch'essi "super". Lascito dell'ultima legge di Stabilità, questi 500 ruoli sono al pronti-via: il decreto per la nomina delle commissioni giudicatrici è al vaglio del Consiglio di Stato mentre si sollevano critiche circa l'influenza che il governo conserverebbe nell'intero meccanismo di reclutamento. È lecito vedere in queste 500 cattedre un vero e proprio detonatore piazzato alle fondamenta del sistema accademico nazionale, in grado di disegnare un canale di reclutamento parallelo a quello ordinario e limitare l'influenza di organismi quali la Conferenza dei Rettori e l'Anvur, la potentissima agenzia di valutazione della ricerca. Su tutto, grava la suggestione in base alla quale si starebbe sempre più configurando un protagonismo diretto della Presidenza del Consiglio dei Ministri nelle politiche per l'università.
Le proposte del governo su diritto allo studio e reclutamento sono, dunque, problematiche rispetto ai principi di equità (sociale e territoriale) nei punti di accesso e di autonomia dell'università italiana. Sicuramente esse sono insufficienti a risolvere i problemi. Come ha mostrato qualche giorno fa l'ultima indagine dell'Adi, l'associazione che riunisce dottorandi e precari della ricerca, negli ultimi anni i posti di dottorato si sono quasi dimezzati mentre rimane tremendamente alto il tasso di espulsione dei ricercatori non-strutturati dall'università: circa il 93% sarà costretto ad abbandonare la ricerca nei prossimi sei anni. Parliamo di migliaia e migliaia di persone. Dinanzi a questo scenario, non bastano i 500 "superprof" né i piani straordinari una tantum. Vedremo se - come ventilato da alcuni ambienti di Montecitorio - in occasione di questa legge di bilancio si riuscirà almeno a rendere strutturale il reclutamento aggiuntivo di ricercatori a tempo determinato e instradare, finalmente, alcuni correttivi sul dottorato di ricerca attraverso l'abolizione delle tasse.
Di certo, studenti, dottorandi, ricercatori precari e un pezzo del sindacato italiano sono pronti a dare battaglia. La coesione tra questi segmenti, di cui si è già data prova in passato, non sarà però sufficiente. Molto dipenderà, questa volta, dalla possibilità di costruire un ponte con settori più consistenti del parlamento e spezzare l'avvitamento verticistico in capo all'esecutivo.