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La giostra dei nuovi assunti, a chi tocca scegliere la sede vicina a casa?

Con l’immissione dei 150 mila nuovi insegnanti rischio caos per le assegnazioni. Gli insegnanti di ruolo fuorisede: tocca a noi scegliere per primi se riavvicinarci a casa

26/01/2015
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Corriere della sera

Valentina Santarpia

Trasferire i docenti già in ruolo prima che avvengano le 148 mila assunzioni in ruolo stabilite dalla riforma Renzi, in modo da evitare che i nuovi insegnanti siano privilegiati nel poter scegliere la sede di lavoro. E’ questa una delle ipotesi che si sta concretizzando nella discussione sulla mobilità degli insegnanti, uno dei capitoli forse più delicati del decreto della buona scuola che dovrebbe prendere corpo entro la fine di febbraio. Il tema è questo: la proposta del governo stabilisce che i nuovi assunti dovranno essere impiegati per coprire in parte i posti disponibili (circa 68 mila, secondo le stime dei sindacati, ovvero tutti quei posti lasciati vacanti dai pensionamenti e dall’organico di fatto) e in parte per creare il cosiddetto organico funzionale (si parla di 80 mila docenti coinvolti). Ma lo stesso piano della Buona scuola precisa che questi insegnanti saranno immessi in ruolo laddove si presentano le esigenze, indipendentemente dalla provincia di residenza. Si profila uno scenario di trasferimento di massa? Non è detto. Perché le esigenze maggiori, per coprire un tempo pieno che non c’è, si profilano soprattutto al Sud, proprio nelle regioni da cui provengono gran parte dei futuri insegnanti. E quindi l’ipotesi più probabile è che i nuovi assunti possano essere immessi in ruolo proprio nella provincia di residenza, senza doversi trasferire. Tutto risolto? Niente affatto. Perché a quel punto le centinaia di docenti meridionali che lavorano al Nord e che aspettano da anni di poter rientrare a casa si solleverebbero in rivolta, sentendosi discriminati: i neo assunti, molti dei quali non sono neanche vincitori di concorso, finirebbero infatti per coprire proprio quei posti agognati, e li destinerebbero quindi ad un futuro in trasferta senza più grosse speranze di poter tornare nelle regioni di provenienza.

Dare la priorità ai docenti di ruolo

Si cerca una soluzione di compromesso: cioè trasferire prima i docenti già in ruolo, quindi dando priorità alle loro esigenze, e solo dopo procedere alle nuove assunzioni, destinando quindi i neo insegnanti a sedi anche molto distanti. Con una serie di complicazioni facilmente immaginabili, considerando che l’età media dei precari da assumere è 41 anni, un’età in cui generalmente è stata già avviata una vita familiare. Secondo il sindacato Anief, sarebbero circa un terzo i docenti precari, oggi inseriti nelle graduatorie ad esaurimento, che rischiano di essere dislocati: «È necessario che si provveda sin da ora a modificare le regole sulla mobilità territoriale, prevedendo il trasferimento o l’assegnazione provvisoria per i tanti precari assunti lontano da casa», chiede Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo Confedir. «Fare dei sacrifici all’inizio della carriera, considerando che si è coinvolti in un progetto di assunzioni straordinario, ci sta -rileva Simona Flavia Malpezzi, deputata Pd al lavoro sul testo della riforma- Ma c’è il nodo dei tempi, che sono strettissimi».

l rischio della mobilità

Se infatti si volesse inserire nel testo di legge la priorità del trasferimento dei «vecchi» assunti e poi delineare le modalità per compilare la graduatoria nazionale dei «nuovi» assunti bisognerebbe avere quantomeno a disposizione una mappatura dei precari da immettere in ruolo. «E il ministero è ancora indietro, non ci ha neanche fornito i dati di chi sarà assunto, a fare cosa, e dove, come aveva promesso», accusa Mimmo Pantaleo, della Cgil. Che aggiunge: «Un’eccessiva mobilità del personale produce anche effetti sulla continuità didattica, di cui dobbiamo tener conto». Questo è l’altro tema forte connesso alla mobilità, che cozza spesso con le necessità dei singoli docenti: «Non è solo un problema di diritti individuali, c’è un problema di qualità didattica: chi è lontano dalla famiglia, da casa, e spende lo stipendio per mantenersi fuori, può garantire realmente un servizio efficiente agli studenti?», si chiede Mara Carocci, un’altra deputata Pd che sta lavorando in commissione Cultura per mettere a punto il testo. Il rompicapo c’è tutto: e «il rischio è che si trovi una soluzione che finirà per arricchire gli avvocati e riempire le aule dei tribunali, a botta di ricorsi», rileva il segretario della Cisl Francesco Scrima. Il ministero dell’Istruzione per ora chiosa: «E’ prematuro parlare di criteri esatti», ma conferma: «Abbiamo due punti saldi: da un lato dare più organico dove serve, ovvero nelle aree svantaggiate e dove c’è dispersione, tendenzialmente al Sud. Dall’altro, pur non volendo stravolgere la vita dei professori, è garantire la continuità didattica e offrire qualità ai ragazzi».


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