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La crescita zero dei laureati: Il primo salario per chi esce dall'università è mille euro

Per la prima volta dal 1945 il numero dei laureati disponibili per le imprese sta smettendo di crescere. E chi si laurea scappa: l’Istat stima che negli ultimi anni aveva una laurea circa una persona ogni quattro fra quelle hanno lasciato l’Italia per lavorare altrove

11/09/2016
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Corriere della sera

Federico Fubini

Manuela Croatto, una funzionaria dell’Università di Udine, ha capito che un diaframma invisibile era caduto il giorno in cui ha letto questo post su Facebook: «Ho mentito ai miei sulla laurea e ora il passo più grande è inscenare la discussione della tesi. Mi rivolgo a quanti di voi sono nella mia stessa situazione: se qualcuno volesse organizzare la propria proclamazione, potremmo organizzare una finta cerimonia». Presto sono arrivate le risposte: «Mi trovo nella stessa situazione» o «Vi prego aiutate anche me, sono disperata». Croatto, che gestisce l’orientamento per gli studenti, di recente ha trovato anche un sito di consigli su come far credere ai genitori che assisteranno a una vera discussione di tesi. Tre volte negli ultimi tempi si è dovuta occupare di ragazzi intrappolati nelle loro storie di lauree fittizie. Il rettore di Udine, Alberto De Toni, ha finito per offrire un servizio dell’ateneo per la consulenza psicologica a chi entra in questo labirinto di bugie.

Gli abbandoni

Questi sono sintomi acuti, però non isolati. La Commissione Ue mostra che l’Italia nel 2013 ha una delle quote di abbandono universitario più alte in Europa (45%), e una delle più basse di laureati fra i 30e i 34 anni. Nella distrazione generale, il Paese sta vivendo un’esperienza che ne mette in pericolo il ruolo nella competizione globale dei prossimi decenni: l’istruzione superiore è arrivata alla crescita zero.

Il sorpasso polacco

Per la prima volta dal 1945 il numero dei laureati disponibili per le imprese sta smettendo di crescere. Resta fermo ai livelli più bassi nel confronto internazionale, mentre altri Paesi a reddito alto o medio-basso hanno imboccato la direzione opposta. L’Ocse di Parigi mostra che la popolazione laureata in Francia o in Germania cresce almeno il doppio più in fretta che in Italia e la sua incidenza è già molto superiore (vedi grafico). In Polonia nel 2014 vivevano 5,6 milioni di diplomati delle università, come in Italia, ma il sorpasso ormai è inevitabile. In Irlanda o in Corea del Sud l’intensità dell’istruzione superiore nella società è tripla, e in aumento costante. Non è solo un fenomeno dei Paesi avanzati. La Cina nel 2014 aveva già 74 milioni di laureati e ai ritmi attuali tra non molti anni quattro cinesi su dieci usciti dai licei si iscriveranno all’università; a metà del prossimo decennio la Repubblica popolare potrebbe raggiungere una quota di laureati superiore al 13% di questo Paese. Il rischio che il sistema industriale italiano si trovi spiazzato ben oltre l’universo del basso costo è tutt’altro che remoto: economie dove il lavoro resta più a buon mercato stanno iniziando a competere nella conoscenza, nelle tecnologie, e sulla parte alta del valore aggiunto.

Fuga all’estero

Non è questa, per la verità, la storia che emerge dalle statistiche ufficiali. Sulla base dei dati Istat, la Fondazione Leone Moressa di Mestre mostra che l’incidenza dei laureati nella popolazione italiana starebbe in effetti continuando a crescere: dal 12,9% del 2014 al 13,3% dell’anno scorso. L’istituto statistico italiano non mente, però dispone di informazioni incomplete a causa della difficoltà di tenere il conto dei laureati italiani che si trasferiscono all’estero. Proprio questo è uno dei fattori che contribuisce di più alla crescita zero dell’istruzione superiore nel territorio nazionale.
L’Istat stima che negli ultimi anni aveva una laurea circa una persona ogni quattro fra quelle hanno lasciato l’Italia per lavorare altrove. Più difficile per l’agenzia è però calcolare l’entità di questi deflussi, perché la qualità dei suoi dati dipende da una scelta che molti non compiono se non dopo molti anni di emigrazione: iscriversi all’Anagrafe degli italiani residenti all’estero. L’Istat può tenere conto di loro solo in quel momento, eppure alcuni indizi permettono di misurare che le uscite dal Paese sono probabilmente circa tre volte più delle 145 mila stimate nel 2015. Germania, Gran Bretagna e Svizzera sono le prime destinazioni per gli italiani che espatriano e, secondo le statistiche ufficiali, negli ultimi anni hanno assorbito circa un terzo dei nostri migranti. Chi arriva in Germania, nel Regno Unito o in Svizzera deve registrarsi subito per poter ottenere il codice fiscale, l’assistenza sociale o il medico di famiglia, anche se non si cancella dall’Italia. E i numeri sugli immigrati italiani in mano alle amministrazioni di Berlino, Londra e Berna sono in media tre volte e mezzo più alti di quelli che registra l’Italia. La Germania è il caso più estremo: secondo l’Istat sono poco più di 17 mila le persone trasferitesi verso la Repubblica federale nel 2014, ma l’omologa agenzia tedesca ne conta oltre quattro volte di più.

Il salario medio

Questi dati permettono di stimare ragionevolmente che in un anno come il 2015 siano usciti dall’Italia circa 100 mila laureati, ne siano entrati circa 27 mila (su 273 mila nuovi arrivati nel Paese) e altri 65 mila siano morti. Con queste forze in azione, i 212 mila nuovi diplomi dell’ultimo anno – stima Alma Laurea – basterebbero a far salire la quota di laureati sulla popolazione italiana di appena lo 0,12%. C’è però un problema: i 50 mila iscritti in meno all’università in questi anni produrranno presto una flessione nel flusso dei nuovi diplomi e questa può portare il tasso di crescita dei laureati allo zero-virgola-zero-qualcosa. Nel frattempo le tecnologie nei sistemi produttivi globali si fanno sempre più sofisticate, i concorrenti dell’Italia sempre più decisi a dominarle.
Per un giovane, la scelta di smettere di studiare può apparire razionale: il salario medio d’ingresso di un laureato triennale è crollato da 1.300 euro del 2007 a 1.004 euro del 2012, se e quando trova lavoro. Ivano Dionigi, presidente di Alma Laurea, sottolinea quanto sia paradossale che un bene scarso come la conoscenza in Italia venga remunerato tanto poco. Di certo, sulla scala di un Paese sta diventando un atto di masochismo collettivo: in Italia solo le imprese più aperte al contributo dei laureati – come dimostra un nuovo studio di Fadi Hassan del Trinity College e altri – stanno tenendo il ritmo della competizione con il resto del mondo. Le altre molto meno


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