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La “Buona Scuola”: revisione delle classi di concorso, una scorciatoia pericolosa

Lo scorso luglio, il Consiglio dei Ministri ha avviato l’esame del Regolamento di revisione delle classi di concorso, primo passo per poter avviare una nuova selezione di docenti per le scuole secondarie di I e di II grado

31/08/2015
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ROARS

Andrea Stella

Lo scorso luglio, il Consiglio dei Ministri ha avviato l’esame del Regolamento di revisione delle classi di concorso, primo passo per poter avviare una nuova selezione di docenti per le scuole secondarie di I e di II grado. Non è previsto il parere del Consiglio Universitario Nazionale e, con una deroga discutibile, nemmeno quello del Consiglio Nazionale della Pubblica Istruzione (CNPI), che invece sarebbe richiesto dalla normativa. Eppure, basta una rapida occhiata alla versione informalmente circolata dello schema di regolamento, per individuare macroscopiche incongruenze, sviste e/o ingenuità. È senz’altro apprezzabile che il Governo intenda risolvere una vicenda aperta ormai da troppo tempo, ma per nulla condivisibile che proceda in totale autonomia, rinunciando ad acquisire i necessari pareri e imboccando così una pericolosa scorciatoia ricca di incognite.

Il 31 luglio scorso il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca ha pubblicato un comunicato stampa (https://hubmiur.pubblica.istruzione.it/web/ministero/cs310715) con il quale informa che il Consiglio dei Ministri ha avviato l’esame del Regolamento di revisione delle classi di concorso, primo passo per poter avviare una nuova selezione di docenti per le scuole secondarie di I e di II grado. Di fatto il Consiglio dei Ministri ha approvato un nuovo Schema di regolamento recante disposizioni per la razionalizzazione ed accorpamento delle classi di concorso a cattedre e a posti di insegnamento, ai sensi dell’articolo 64, comma 4, lettera a), del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 13, nonché le relative tabelle ad esso allegate.

Nel comunicato si legge che, con la revisione avviata, vengono accorpate e semplificate le classi di concorso esistenti, che passano da 168 a 114 e ne vengono introdotte 11 nuove; si legge anche che con l’adeguamento delle classi di concorso ai nuovi ordinamenti universitari alcune categorie di laureati, finora escluse dall’insegnamento di materie coerenti con il loro piano di studi, potranno accedere agli specifici percorsi abilitanti. Inoltre, secondo quanto dichiarato dal Ministro Stefania Giannini, la revisione delle classi di concorso è il primo passo per poter tornare a bandire regolarmente concorsi per entrare nella scuola, dopo la conclusione del piano straordinario di assunzioni di quest’anno.

La prima reazione alla lettura del comunicato, per chi conosce le confuse, intricate e spesso controverse vicende che negli ultimi anni hanno caratterizzato i tentativi di mettere mano alla normativa sulla formazione e sul reclutamento degli insegnanti della scuola, è positiva.

Che sia necessario e anche urgente mettere mano alle classi di concorso nessuno lo mette in dubbio; la normativa vigente risale infatti al DM 30 gennaio 1998, n. 39, che è stato successivamente integrato con il DM 9 febbraio 2005, n. 22, per tenere conto della rivoluzione copernicana avvenuta nel frattempo con l’emanazione del DM 3 novembre 1999, n. 509, con il quale sono stati introdotti i titoli di studio di I livello (laurea: L) e di II livello (laurea specialistica: LS). In realtà il DM 9 febbraio 2005 è nato in qualche modo già obsoleto perché, alla data della sua pubblicazione, era già stato emanato il DM 22 ottobre 2004, n. 270 in sostituzione del DM 509/99; fin da allora era pertanto chiaro che si sarebbe resa necessaria quanto meno una nuova integrazione, non appena fossero state pubblicate le nuove classi di laurea (L) e di laurea magistrale (LM), il che avvenne poi con molto ritardo con i DM del 16 marzo 2007.

A ben guardare bisogna osservare che lo stesso DM 9 febbraio 2005 avrebbe richiesto alcuni immediati interventi correttivi, dato che conteneva errori e omissioni che precludevano e precludono tuttora ad alcune categorie di laureati l’accesso all’insegnamento; tra i casi più clamorosi è la totale dimenticanza della classe delle lauree magistrali 29/S – Ingegneria dell’automazione i cui laureati sono tuttora discriminati rispetto a tutti gli altri laureati magistrali in ingegneria. Nulla peraltro è avvenuto nel frattempo, nonostante le ripetute richieste e i numerosi pareri formulati dal CUN al Ministro, nell’ultimo dei quali, del 10 giugno 2014, si dichiara: Il Consiglio Universitario Nazionale ritiene necessaria una revisione complessiva del DM 9 febbraio 2005 in modo da affrontare la questione dell’accesso alle classi di concorso in maniera coerente per tutte le lauree magistrali coinvolte. Questo Consiglio, al fine di prevenire l’insorgere di ulteriori criticità, si rende disponibile a fornire le proprie competenze nel processo di revisione di tale decreto, anche ai sensi del comma 4 dell’art. 4 del D.M. 270/2004.

Un tentativo di mettere mano alla normativa era stato peraltro già avviato nel 2009 dal Ministro Mariastella Gelmini, che aveva predisposto uno Schema di regolamento, identico nel titolo a quello approvato lo scorso 31 luglio dal Consiglio dei Ministri. In data 26 agosto 2010 il Consiglio Nazionale della Pubblica Istruzione (CNPI), nel formulare il proprio parere obbligatorio su tale Regolamento, si era espresso in maniera assai critica e circostanziata, formulando numerose proposte di sostanziale modifica e subordinando il proprio parere favorevole all’accoglimento delle richieste avanzate. Il Regolamento venne quindi lasciato cadere e il tentativo si concluse con un nulla di fatto.

Un nuovo tentativo di mettere mano alla normativa è messo in atto, nel gennaio 2013, anche dal Ministro Francesco Profumo che, per accelerare l’iter e recuperare il tempo perduto, decide di puntare su un Decreto Ministeriale, abbandonando la strada del Regolamento prevista dalla legge 6 agosto 2008, n. 133. Ma la scelta di procedere, a Camere ormai sciolte e in piena campagna elettorale, con un provvedimento ministeriale considerato non urgente trova forti opposizioni a livello sia politico che sindacale e incontra resistenze nello stesso Ministero. Il provvedimento, che prevedeva un dimezzamento delle classi di concorso, viene perciò ritirato. Ancora una volta ci si trova davanti ad un nulla di fatto.

Il provvedimento rilasciato lo scorso 31 luglio dal Consiglio dei Ministri è già stato approvato dalla Conferenza Unificata il 6 agosto scorso, a tempo di record, e il sottosegretario all’Istruzione, Davide Faraone, ha dichiarato: La Conferenza Unificata di oggi ha dato il via libera alla razionalizzazione e all’accorpamento delle classi di concorso per gli insegnanti. Un importante passo che, insieme alle norme contenute nella “Buona Scuola”, renderà molto più efficace l’impiego del personale docente negli istituti scolastici del nostro Paese. E ancora: Questo percorso verrà concluso con il previsto passaggio nelle commissioni parlamentari che con il loro parere potranno indicare suggerimenti utili a migliorare ulteriormente il quadro, già buono, di questa impostazione. Seguendo questa tempistica saremo in grado di bandire per tempo e secondo criteri innovativi il concorso per soli abilitati previsto dalla legge 107/2015. Lavoriamo a ritmi serrati affinché l’autonomia scolastica sia sempre più al servizio dei bisogni dei nostri studenti e perché il concorso torni ad essere la via maestra per diventare insegnanti.

Certamente bisogna dare atto che vi è un grande impegno a chiudere la vicenda a ritmi serrati. Tutto bene allora? Non proprio tutto!

Come è noto le classi di concorso identificano gli insegnamenti per la scuola secondaria di primo e secondo grado e i corrispondenti requisiti necessari per l’accesso ai relativi percorsi di abilitazione all’insegnamento; ne deriva che le classi di concorso rivestono enorme rilevanza per la qualità futura della formazione degli studenti nelle scuole italiane, poiché dalla loro determinazione dipendono le competenze degli insegnanti nelle discipline nelle quali saranno abilitati. E allora, data la rilevanza della questione, si deve ritenere che qualche ulteriore riflessione e qualche maggiore confronto e approfondimento sarebbe stato necessario.

Innanzi tutto si può facilmente constatare che il parere, di sole 10 righe, reso dalla Conferenza Unificata è un inutile atto formale; né d’altra parte potrebbe essere diversamente, visti i tempi concessi per il parere, a proposito dei quali la stessa Conferenza Unificata non manca di dichiarare il proprio disappunto nell’evidenziare ancora una volta la ristrettezza dei tempi a diposizione per svolgere l’istruttoria.

Proviamo poi a cogliere qualche ulteriore elemento dalla lettura del testo dello Schema di regolamento, nella versione informalmente circolata. Si scopre allora che l’iter dello Schema di regolamento, dopo il passaggio in Conferenza Unificata, prevede il passaggio al Consiglio di Stato, nelle Commissioni parlamentari competenti in materia e, per il via libera definitivo, nuovamente in Consiglio dei Ministri. Stupisce il fatto che non sia previsto il parere del Consiglio Nazionale della Pubblica Istruzione (CNPI), ma colpisce ancora di più la motivazione: RITENUTO di poter procedere all’emanazione del presente decreto anche in assenza del parere dell’organo collegiale consultivo nazionale della scuola, ai sensi del richiamato articolo 23-quinques del decreto-legge n. 90 del 2014.

Ebbene, a ben guardare non sembra proprio che la norma consenta di prescindere dal parere del CNPI, dato che l’Art. 23-quinquies del decreto-legge n. 90 del 2014 – Interventi urgenti per garantire il regolare avvio dell’anno scolastico al comma 1 recita: Nelle more del riordino e della costituzione degli organi collegiali della scuola, sono fatti salvi tutti gli atti e i provvedimenti adottati in assenza del parere dell’organo collegiale consultivo nazionale della scuola; dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto e fino alla ricostituzione dei suddetti organi, comunque non oltre il 30 marzo 2015, non sono dovuti i relativi pareri obbligatori e facoltativi. Trascorsa la data del 30 marzo, stabilita dalla legge, non sussiste dunque alcuna ragione che consenta di prescindere dal parere del CNPI.

Una secondo motivo di forte perplessità riguarda la scelta di escludere il Consiglio Universitario Nazionale dall’esprimere un proprio parere riguardante i titoli e i requisiti di accesso alle diverse classe di concorso. Le indicazioni contenute nella Tabella A, allegata allo Schema di regolamento, che stabiliscono i titoli di accesso in termini di lauree magistrali, integrati talora da crediti conseguiti in determinati Settori Scientifico Disciplinari, richiedono infatti una estesa conoscenza degli ordinamenti dei corsi di studio, sia di primo che di secondo livello, che solamente il CUN possiede.

Anche senza esaminare in maniera esaustiva e dettagliata le nuove classi di concorso, a chi possiede una qualche competenza in materia è sufficiente una rapida occhiata per individuare macroscopiche incongruenze, sviste e/o ingenuità. Qualche esempio servirà a chiarire meglio il concetto:

  • la nuova classe di concorso A-45 Scienze economico-aziendali prevede, come requisiti di ammissione, la laurea magistrale in una delle cinque classi indicate, tra le quali LM-82 Scienze statistiche, senza porre alcun ulteriore vincolo sui crediti conseguiti in determinati Settori Scientifico Disciplinari (SSD); ci si chiede se l’estensore del documento sia a conoscenza che vi sono corsi di laurea LM-82 Scienze statistiche con un numero assai limitato di crediti in materie economiche e che pertanto, in tali casi, vi potranno essere laureati in Scienze statistiche abilitate ad insegnare Scienze giuridiche-economiche, pur essendo privi di adeguate competenze;
  • la nuova classe di concorso A-46 Scienze giuridiche-economiche prevede, come requisito di ammissione, la laurea magistrale in una delle dodici classi indicate, tra le quali LMG/01 Giurisprudenza; essa prevede inoltre che il laureato abbia conseguito almeno 96 crediti in determinati Settori Scientifico Disciplinari di cui almeno 12 nel Settore SECS-S/03-Statistica economica; nessun corso di laurea LMG/01 Giurisprudenza prevede oggi un tale numero di crediti e pertanto nessun laureato in Giurisprudenza avrebbe oggi i titoli per insegnare Scienze giuridiche-economiche.
  • la nuova classe di concorso A-26 Matematica prevede, come requisito di ammissione, la laurea magistrale in una delle ventinove classi indicate; essa prevede inoltre che il laureato (fatta eccezione per il laureato in LM-40 Matematica, per il quale sono previsti specifici requisiti) abbia conseguito almeno 80 crediti complessivi nei Settori Scientifico Disciplinari MAT/02, MAT/03, MAT/05, MAT/06, MAT/08; ci si chiede se l’estensore del documento sia a conoscenza che nessuno di tali corsi ha la benché minima possibilità di prevedere nei propri piani di studio un tale numero di crediti di matematica (anche conteggiando quelli acquisiti nella laurea triennale) e che pertanto nessuno di tali laureati potrà insegnare Matematica; e allora quale significato ha indicare tutti quei corsi di laurea magistrale?

La sia pure limitatissima analisi svolta evidenzia la presenza di sostanziali incongruenze, dato che in alcuni casi si consente l’accesso a determinate classi di concorso a laureati senza garanzia che essi possiedano adeguate competenze e in altri si richiedono crediti in misura così rilevante da escludere laureati potenzialmente in possesso di competenze adeguate.

Sarebbe inoltre opportuno che il decreto stabilisse in maniera esplicita che i crediti richiesti in determinati SSD si intendono acquisiti nella carriera complessiva, comprensiva anche della laurea; sarebbe poi auspicabile che il decreto prevedesse anche la possibilità di conteggiare i crediti conseguiti attraverso la frequenza di corsi singoli e il superamento dei relativi esami; la questione è tutt’altro che irrilevante, ma di tutto questo nel decreto non si trova traccia.

Anche un osservatore attento ai problemi della scuola, come Il Sole 24 ore, in un articolo del 1 agosto 2015, pone l’accento su una maggiore flessibilità che il Regolamento introdurrebbe tra la laurea conseguita dai futuri professori e le materie che potranno essere insegnate. In realtà, come si è visto, si tratta spesso di una flessibilità solo apparente, perché a fronte di un notevole ampliamento delle classi di laurea magistrale che danno accesso alle nuove classi di concorso, vengono introdotti irragionevoli vincoli sui crediti conseguiti in determinati SSD, che ne limitano fortemente l’ammissione.

La nuova normativa sulle classi di concorso riveste fondamentale importanza per il futuro della buona scuola italiana ed è perciò necessario che il provvedimento, atteso da almeno 10 anni, sia impostato su solide basi e non presenti quelle incongruenze che ora balzano all’occhio anche ad un esame sommario e limitato a poche classi di concorso. Si tratta perciò di acquisire in tempi brevi puntuali pareri del Consiglio Nazionale della Pubblica Istruzione e del Consiglio Universitario Nazionale, che possiedono specifiche competenze sulle problematiche in esame. I ritardi che tali pareri introdurrebbero sarebbero davvero minimi, ma consentirebbero di migliorare grandemente la qualità del provvedimento, fornendo quegli elementi conoscitivi che le commissioni parlamentari non possono certamente dare nel previsto passaggio.

Bisogna infine precisare che, almeno formalmente, lo Schema di regolamento è adottato ai sensi dell’articolo 64, comma 4, lettera a), del decreto-legge 25 giugno 2008, che si pone obiettivi di razionalizzazione ed accorpamento delle classi di concorso, per una maggiore flessibilità nell’impiego dei docenti. Ulteriori provvedimenti saranno poi adottati dal Governo sulla base della delega prevista dall’art. 1, co. 180 della legge 13 luglio 2015, n. 107, sulla buona scuola.

Tuttavia appare evidente che i provvedimenti oggetto di delega e lo Schema di regolamento sono tra loro strettamente correlati perché quest’ultimo – come dice il Ministro – è il primo passo per poter tornare a bandire regolarmente concorsi per entrare nella scuola e rimarrà certamente a lungo il riferimento per la formazione e il reclutamento. Per tale motivo è necessario che il Regolamento esca dopo attenta riflessione, e non venga trattato con l’indifferenza che deriverebbe dal ritenerlo provvisorio e facilmente modificabile a breve.

È senz’altro apprezzabile che il Governo intenda risolvere una vicenda aperta ormai da troppo tempo, ma per nulla condivisibile è che proceda in totale autonomia, rinunciando ad acquisire i necessari pareri e imboccando così una pericolosa scorciatoia ricca di incognite.


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