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L'Università contro il "Concorsone": "Troppi bocciati è solo un quiz da tv"

Di Pol (Scienze della Formazione): "Sistema inadeguato che non valuta le competenze"

07/08/2016
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la Repubblica
Jacopo Ricca
TORINO
LA MAXI
bocciatura di insegnanti di sostegno al concorsone ha fatto un certo scalpore in Università. Il metodo di selezione era già stato criticato, ma nessuno si aspettava numeri così bassi tra i promossi e la lettera dei bocciati ha aperto il dibattito con i professori di Scienze della formazione che difendono i loro allievi: «Sono stati selezionati con un sistema inadeguato che non valuta le competenze. Più che un concorso è stato un quiz televisivo – attacca il presidente del corso di Scienze della formazione primaria di Torino Redi Sante Di Pol – I nostri ragazzi vengono seguiti in modo eccellente e anche nelle valutazioni internazionali abbiamo sempre ottimi risultati, tutte queste bocciature non sono frutto di impreparazione>.
La questione per gli accademici, è nel tipo di valutazione voluto dal ministero dell’Istruzione: «In viale Trastevere non siamo ascoltati. – continua Di Pol - Noi come università però non possiamo preparare gli studenti a risolvere i quiz. Per tutti i docenti, in particolare quelli di sostegno, ci vuole una competenza specifica». I partecipanti al concorso han parlato di errori del sistema e di computer troppo lenti: «Sono molte le cose che non andavano da quello che mi hanno detto, ma credo sia proprio il tipo di quesiti a non funzionare. C’erano 15 minuti per risposta, un modo che non permette una riflessione sulle domande né la dimostrazione le competenze acquisite in tanti anni di formazione>.
Degli oltre 240 esclusi molti si troveranno comunque a insegnare a settembre come precari. E proprio nelle scuole dove avrebbero dovuto ricoprire una cattedra di ruolo, dei 378 posti disponibili infatti saranno quasi due terzi quelli che rimarranno scoperti: «Quello della precarietà è un altro problema che segnaliamo da anni.
Al test d’ammissione al corso si presentano meno persone dei posti disponibili e i presidi per le supplenze brevi sono costretti a chiamare anche studenti al quarto o quinto anno di università perché tra i laureati son già tutti impegnati».Una situazione difficile che nemmeno la “buona scuola” sembra aver risolto: «La nuova legge prevede un massimo di tre anni di insegnamento senza essere di ruolo. Dopo queste persone che fine faranno?» lamenta Di Pol.
Anche sui metodi di accesso all’insegnamento però ci sono dubbi, e tra neo-laureati e universitari serpeggia il malumore:
«Ci sarà laurea magistrale con indirizzo all’insegnamento e poi un anno ulteriore di attività pratiche nelle scuole> spiega Roberto Trinchero, Lui è il referente dell’ateneo per diversi corsi di Tfa. Quel tirocinio formativo attivo che la “buona scuola” vorrebbe superare: «Dovremmo attivare ancora un ciclo e poi fermarci e passare al nuovo metodo – aggiunge – Ma non ci sono ancora certezze sui tempi».

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