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L'Unità: Gli insulti e la memoria

Moni Ovadia

10/11/2007
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l'Unità

Il tanfo delle peggiori vocazioni del passato europeo sale dalle cloache a cielo aperto del pregiudizio contro genti straniere, i rom, i sinti, i rumeni, criminalizzate tout court nel puro stile della peggior propaganda antisemita. Coloro che hanno la memoria corta vadano a rileggersi le argomentazioni dei teorici del razzismo antiebraico, anche le più filosofiche e ponderate come quelle alla Evola. Trovino il tempo per sfogliare gli organi della stampa reazionaria dei paesi che accoglievano gli emigranti italiani nei primi secoli del Novecento. Sentiranno spirare sui loro colli l’aria ammorbata e pestilenziale degli stessi discorsi che provengono dagli esponenti del centro-destra italiano oggi. La nuova divisa che indossano è il trench bianco, ma le parole dell’odio e dell’intolleranza hanno la stessa anima di quella pandemia nera che portò allo sterminio tanti innocenti colpevoli solo di essere ciò che erano. Senza vergogna l’onorevole Fini ha preteso l’espulsione di coloro che non hanno mezzi di sostentamento, lui! L’erede del fascismo rinnegato solo a parole, con la “complicità” di un governo israeliano che pur di avere due moine da un politico furbo e cinico mercanteggia il significato profondo della shoà. Sì! Gli zingari sono morti con noi nei lager nazifascisti, come noi, così come con noi furono sterminati poveracci senza fissa dimora, e se lo dimenticassimo condanneremmo noi stessi all’infamia. E come se non bastasse tutto questo, adesso il “poco post” fascista delfino del principe azzurro di Arcore vorrebbe fare della povertà un crimine, una malattia da espellere dal salotto buono. Fosse stato per lui milioni dei nostri connazionali sarebbero stati gettati a mare quando partivano per le Americhe con la speranza di uscire dalla povertà e rimanevano poveri a lungo prima di riuscirci. E ora con che faccia, con che spirito, con quale sguardo, a quale orizzonte ci rivolgeremo quando celebreremo il “Giorno della Memoria”. Inviteremo uno zingaro con l’abito della festa a parlare della tragedia dei rom e dei sinti, mentre li criminalizziamo in massa in quanto tali e ne auspichiamo la rimozione massiccia dai nostri lidi per rimandarli in Romania a ricevere altre vessazioni, oppure per rimpallarli da un Paese all’altro di un’Europa che si pretende unita e libera ma non lascia circolare liberamente al proprio interno i propri stessi cittadini? È ora che se lo ficchino nel cranio i demofascisti, i Rom e i Sinti sono cittadini dell’Europa a pieno titolo, e la vile e ipocrita Europa, come ha bene spiegato sul nostro giornale il grande Predrag Matviejvic, ha nei loro confronti un debito inestinguibile. Il minimo che possa fare è quello di trattare le questioni che li riguardano con rispetto, volontà di accoglienza e integrazione, attraverso mediazioni culturali e sociali attivando con urgenza canali di erogazione di massicci investimenti per rendere possibili soluzioni giuste e rispettose dei diritti fondamentali di ogni essere umano. Non vivo nel paese di utopia, è capitato anche a me di vedere più volte violata la mia casa e mia moglie in lacrime sconvolta per giorni e giorni, capisco bene il valore e il calore della sicurezza. La sicurezza di ogni cittadino è certo un diritto fondamentale, ma da quando si afferma un diritto fondamentale calpestandone dieci altri? La sicurezza è garantita dalla cultura della legalità e dalla certezza del diritto, conseguentemente dalla certezza della pena e tutto ciò in sinergia con la diffusione della cultura e della spiritualità dell’accoglienza solidale. Queste travi portanti di una società giusta mancano in Italia e la colpa non è dei rom, né dei rumeni, ma della classe politica italiana, soprattutto quella di destra impegnata nella demolizione dei parametri democratici dello stato di diritto al fine di proteggere i furfanti che militano nelle loro file. Noi siamo il problema, non gli altri, il giorno che lo capiremo diventeremo perlomeno un Paese serio. Il giorno della memoria serve a ricordarcelo: perché furono fascistissimi cittadini italiani a varare le più schifose leggi razziali dell’epoca, a perpetrare genocidi contro le popolazioni africane, a commettere crimini di guerra contro gli iugosalvi e fu la maggioranza del Paese, comprese istituzioni culturali e religiose, ad accettarli senza troppi mal di pancia. Ma se il frastuono dei revisionisti della domenica e la grancassa dei fasciodemocratici da salotto televisivo coprono le voci della coscienza e della decenza, forse sarà meglio abrogare la ricorrenza del 27 gennaio perché non diventi una tragica beffa.


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