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L'Unità-Contro la destra un'altra idea della modernità

22.02.2002 "Contro la destra un'altra idea della modernità" ROMA"Spero che l'incontro coi Ds serva a ristabilire forti canali di comunicazione tra conoscenza diffusa e politica. Ci serve una cult...

22/02/2002
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l'Unità

22.02.2002
"Contro la destra un'altra idea della modernità"

ROMA"Spero che l'incontro coi Ds serva a ristabilire forti canali di comunicazione tra conoscenza diffusa e politica. Ci serve una cultura seria e combattiva, e una politica innervata di saperi". Anche Remo Bodei, storico della filosofia a Pisa, plaude alla convention dello "Stenditoio". "Può essere un lievito - dice - a condizione di non pensare agli intellettuali come a testimonial". E poi c'è un'altra condizione da soddisfare: "Evitare di isolare il "ceto medio riflessivo" dagli altri strati sociali". Come? "Inventando arene di lavoro e di proposta che parlino a tutti in nome dei diritti e di idee generali di programma".

Professor Bodei, piaccia o meno a destra e moderati, la cultura in senso ampio e diffuso è contro questo governo. Lo dimostrano anche le adesioni all'incontro coi Ds. Perché?

Due spiegazioni. Una è che, a differenza della Francia, in Italia una cultura di destra non esiste, non ha sfondato. E poi la cultura di Forza Italia non ha presa, per ora. È una cultura aziendalista, pragmatica, che punta sul rendimento immediato, aliena dalla riflessione. La cultura italiana,umanistica e scientifica, è palesemente estranea alla destra. E allora scatta l'irrisione populista, il livore contro i "soliti intellettuali" oltranzisti. Però, in occasione dell'incontro di oggi a Roma, vorrei fare una riflessione a distanza. Quasi con un binocolo rovesciato...

Ecco il suo binocolo rovesciato

Ci sono ragioni strutturali, che spiegano questa rivolta culturale. La politica della sinistra ha attraversato un momento drammatico, da dieci anni a questa parte. Non è stato facile passare da un'ottica bloccata, da conventio ad excludendum, al bipolarismo. Prima, la sinistra italiana era un modello di studio molto ammirato. Ma nel decennio ci sono state trasformazioni identitarie forti, l'adozione di una mentalità di governo, lo scontro con la sinistra più radicale. E il tutto senza la possibilità di mettere radici...

Gli intellettuali vogliono ridare un'identità alla sinistra?

Non dico questo. Penso anzi che occorra rispettare le difficoltà e gli sforzi della politica, che ha una sua autonomia, inseparabile dai compromessi. Voglio dire che il rapporto intellettuali-politica va rifondato. Per dare più forza alla politica e alla cultura. È finito sia l'intellettuale organico che quello di complemento, che firma i manifesti. Non serve la mera "convocatoria" che tonifica gli animi. Ci vuole un network permanente. Un reticolo organizzato, dove i saperi portino le loro competenze.

Come immagina questa rete?

Come un partito di movimento, capace di mettere a frutto la frustazione diffusa per il "vannamarchismo" della politica attuale, e di valorizzarlo creativamente. Non penso a osservatori, ma a elastici gruppi di lavoro su temi. In grado di generare cultura di programma, e di capire i punti di forza - e di debolezza - dell'avversario. Non più quindi il partito-blocco, che interloquisce. Ma un'osmosi tra autonomie. Innanzitutto, occorre ristabilire la fiducia dopo la sconfitta, usando la conoscenza come risorsa politica. Prendiamo la scuola. Ciò che accade con l'esame di maturità è inaccettabile. La logica oggi è quella di premiare le scuole private. Un modo truffaldino da denunciare. E un tema sul quale lavorare con gli insegnanti. Insomma, dobbiamo creare arene permanenti di comunicazione e di intervento, per dare battaglia.

Questo movimento di "ceto medio riflessivo" - così lo chiama Ginsborg - ha ormai anche una sua personalità "antagonista", non le pare?

Vero, ma può anche essere un limite. Infatti una volta erano i ceti popolari che votavano a sinistra, e ora sono i ceti medi colti. Perché questa fuga? E poi abbiamo perso per strada i più giovani. Sarà anche colpa dei nuovi lavori, della Tv e della flessibilità. Ma queste risposte rischiano di essere un alibi...

S'è detto al Congresso che la sconfitta nasce da un deficit di modernizzazione, e che la destra è stata più persuasiva. Eppure, innovazioni come quelle del centro-sinistra, non s'erano mai viste. E in più la destra ha perso 1 milione di voti. Non hanno invece pesato le divisioni, e l'assenza di un'idea di sinistra della modernità?

Intanto rilevo che nel governo attuale ci sono ampie divisioni - tra la destra sociale e quella liberista - e vanno sfruttate. Il nostro errore? È stato quello di assumere un tipo di modernizzazione per certi aspetti imitativo dello schieramento avversario. E tra l'originale e la brutta copia, quest'ultima è perdente. E non abbiamo sfondato né a destra né a sinistra. Anche il termine "solidarietà" è blando è inflazionato. Non ci servono né i buonismi né le utopie. La modernizzazione va fatta, ma anche includendo la problematica delle istanze più egualitarie. Così come vanno recuperate le spinte di legalità che vengono dall'area di Di Pietro. Per vincere ci vuole una sintesi basata sui diritti: sicurezza, lavoro, legalità, formazione, ambiente. Di qui la propositività, l'iniziativa...

Serve l'indignazione, o è inutile?

Altrochè se serve, specie intellettualmente. Questi della destra ci vogliono far credere che Cristo è morto di freddo!


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