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L’ombra della Brexit sulla ricerca made in UK: perché la ricerca europea batte il sistema USA

Si è conclusa alla camera dei Lord una importante inchiesta che riguarda il futuro della ricerca scientifica inglese. Si tratta dei tagli alle tasse universitarie previsti dal governo e del loro impatto sulle finanze delle Università

06/07/2019
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ROARS

Milena Cuccurullo

Si è conclusa alla camera dei Lord una importante inchiesta che riguarda il futuro della ricerca scientifica inglese. Si tratta dei tagli alle tasse universitarie previsti dal governo e del loro impatto sulle finanze delle Università1.

Il provvedimento, annunciato nel 2018 da Theresa May, e affidato al deputato Philipp Augar2, era stato pensato come controproposta rispetto all’idea del partito labourista di cancellare le tasse universitarie e rendere l’alta formazione accessibile a tutti, in particolare a giovani provenienti da aree disagiate.

Tuttavia, il dibattito è stato ritardato e pesantemente influenzato dalle infinite e logoranti discussioni sulla Brexit e, come mostrano gli interventi tenuti alla Camera dei Lord da rappresentanti del mondo accademico, si è trasformato nell’incubo per le università di perdere il primato nella ricerca che attualmente detengono.

Le tasse, infatti, rappresentano una parte fondamentale del bilancio delle maggiori università e vengono utilizzate non solo per offrire servizi di alta qualità, come l’accesso alle maggiori riviste scientifiche e piattaforme di ricerca, ma anche e soprattutto per finanziare progetti di alto livello scientifico spesso in collaborazione con partner europei.

Una delle principali cause di preoccupazione, dunque, da parte dei dirigenti universitari è che la perdita subita dal taglio alle tasse non possa essere compensata da un investimento pubblico. Per dare una misura della perdita che un ente di ricerca subirebbe nel caso di un abbassamento delle tasse dalle attuali 9.000 alle 7.500 sterline annuali, basta guardare ai numeri mostrati al Comitato per la scienza e la tecnologia dal Prof. David Lomas, membro dell’Accademia delle scienze mediche e vice rettore presso University College London UCL. Nel caso della sola UCL, la perdita ammonterebbe a 40 milioni di sterline all’anno, un’entrata che solo in parte viene dalle iscrizioni di studenti inglesi e che è rappresentata in larga parte da studenti stranieri. Questi ultimi, e in particolare gli studenti provenienti dall’Unione Europea, rappresentano inoltra la possibilità, per le università inglesi, di coltivare contatti con altre istituzioni di ricerca in tutta Europa e di mettere a punto progetti di ricerca piu’ grandi e costosi.

Come afferma il prof. Tim Bradshaw, del Russell Group, «gli studenti EU sono l’8% della popolazione studentesca totale. Ci sono circa 51.000 studenti EU nelle Università del Russell group. Il 15% nel settore della ricerca post-laurea. Essi rappresentano un canale chiave per noi per raggiungere lo stadio successivo dei ricercatori alla prima carriera, i profili di ricerca accademica e di ricerca nel mondo industriale e in tutti gli altri settori»3. Ciò che spaventa maggiormente il mondo accademico è dunque l’eventualità che con la Brexit vengano a mancare letteralmente le persone per condurre la ricerca a un livello internazionale. Infatti, circa la metà delle pubblicazioni scientifiche delle Università del Russell group includono un autore internazionale e di queste il 60% includono autori europei. «Questa attività – continua il prof. Bradshaw – è altamente internazionalizzata e assolutamente valida nei termini di accesso ai fondi europei in futuro. Questo è un aspetto chiave per noi. Se potessimo chiedere tre cose da vedere con la Brexit, una sarebbe l’impegno del governo a firmare gli accordi per Horizon Europe. La seconda sarebbe assicurare un’offerta di studio/lavoro per attrarre e mantenere studenti internazionali. La terza, un sistema Visa generale per consentire la stessa libertà di movimento che i ricercatori hanno attualmentè4.

Lo stallo della politica britannica sul problema della Brexit ha già cominciato a mietere le sue vittime non solo nel settore industriale, si veda ad esempio il caso della Ford5, ma anche nel settore della ricerca. «Faccio ricerca da 30 anni – sottolinea il Prof. Peter Bruce, vice presidente della Royal Society – e soltanto negli ultimi due anni mi è capitato di pubblicare due offerte per postdoc senza ricevere alcuna candidatura dai principali paesi europei come Spagna, Francia e Germania»6.

Il motivo per cui l’accademia inglese sembra così preoccupata della ‘ritirata’ dei ricercatori europei non riguarda soltanto un problema di finanziamento della ricerca made in UK, ma piuttosto quello della sua reputazione. In particolare, l’ipotesi di un’uscita del Regno Unito dal sistema del Consiglio europeo della ricerca viene vista come una opzione pericolosa che porterebbe a una perdita irrecuperabile. In prima istanza, il modello ERC basato sulla qualità della ricerca e sulla internazionalizzazione non potrebbe essere replicato all’interno del sistema di finanziamento interno al Regno Unito. In quest’ultimo, infatti, conta soprattutto la ricerca strategica e l’innovazione tecnologica, mentre ciòche realmente attrae i migliori ricercatori del mondo è l’elemento creativo, la ricerca libera e di base: «Esiste una reale preoccupazione nella comunità accademica – afferma il prof. Bruce – su come preservare e coltivare la cosiddetta ricerca libera, guidata dalla scoperta, dalla curiosità, come la si vuol chiamare, sia all’interno del sistema di finanziamento inglese sia nel caso in cui perdessimo accesso all’ERC. Il mancato accesso all’ERC sarebbe una perdita enorme»7. La reputazione internazionale guadagnata dal sistema europeo della ricerca rappresenta una valore immateriale intangibile ma è ciò che fa la vera differenza, ammette Tim Bradshaw. «È questo che lo rende attraente. Sai che verrai giudicato puramente in base all’eccellenza e a livello internazionale. È impossibile replicare questo in UK»8.

A differenza di quanto i Brexiters credono, non solo non sarà possibile rimborsare le università inglesi per la perdita dovuta all’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea, ma non sarà nemmeno possibile riparare alla situazione facendo accordi più stretti con gli Stati Uniti, come vorrebbero alcuni. «Nella relazione con gli USA, quasi sempre loro sono l’80% e noi il 20%. Loro tendono a essere i responsabili nell’ideare il cuore del programma di ricerca e noi coloro che possono avere buone possibilità di cooperare in qualcosa disegnato da loro. Ma una delle cose che abbiamo fatto noi negli ultimi venti anni in Europa èstato aver ideato programmi di ricerca di livello europeo. […] è proprio questa abilità di ideare grandi progetti di ricerca che nessun paese può avere da solo e che noi, accademicamente, abbiamo fatto in maniera fantastica»9.

Agli occhi della comunità scientifica, dunque, la Brexit appare come una follia che farà perdere al Regno Unito vent’anni di vantaggio sulla competitività nella ricerca. Queste poche osservazioni bastano a comprendere perché il progresso scientifico ed economico non può avere un futuro nel mondo dei sovranismi e richiede a tutti coloro che servono la scienza e la ricerca una forte svolta europeista.

contatti: comitatoricercaeuropa@gmail.com

1Vedi i documenti Uncorrected oral evidence: Science research funding in universities, del Science and Technology Select Committee, reperibili online sul sito internet della House of Lords.

2Il provvedimento è Augar Review.

3Testo originale citato nella nota 1: «EU students are about 8% of our total student population. There are about 51,000 EU students at Russell group universities. On the postgraduate research side, it is about 15%. They are a key pipeline for us to get through to the next stage to early-career researchers, proper research academic careers and research careers with business and elsewhere».

4Ibidem: «If we were asking for three things we would like to see with Brexit, one is a proper government commitment to sign up to Horizon Europe. Second would be to make sure that we have a worldleading pay/study work offer to attract and retain international students. The third would be an overall visa system to allow as close as possible the free movement of researchers that we have at the moment».

5Sta suscitando scalpore e lo spettro degli scioperi la imminente chiusura dello stabilimento della Ford a Bridgend, in Galles, che provocheràla perdita di 1.700 posti di lavoro.

6Traduzione dell’autrice, per i testi originali vedi Uncorrected oral evidence: Science research funding in universities, nota 1.

7Ibidem.

8Ibidem.

9Ibidem.


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