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L'occasione perduta

di Fabrizio Dacrema

26/06/2015
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La ripresa di una politica di investimenti nella scuola pubblica non poteva essere sprecata in modo più spettacolare: il ricorso al voto di fiduciaper imporre a un Parlamento assediato dalla protesta degli insegnanti l'approvazione della legge rappresenta perfettamente il fallimento del Governo.

L'ultimo guizzo di lucidità del premier (pausa di ascolto e conferenza sulla scuola a luglio) è stato travolto dalla voluttà solipsistica di un ceto politico la cui conoscenza e sensibilità nei confronti del mondo della scuola è ben sintetizzata nella visionaria e inquietante affermazione del Sen. Marcucci, Presidente della Settima Commissione del Senato: "La Buona Scuola è frutto della più grande consultazione popolare mai realizzata"...

Ignorati anche gli appelli del padre nobile dell'autonomia scolastica Luigi Berlinguer che fino all'ultimo si è espresso a favore di"modifiche di qualità del testo, opportune correzioni condivise" in modo da approvare una "riforma ben accettata".

Nessuna riforma della scuola, infatti, può essere imposta dal governo con colpi di fiducia a un parlamento assediato dalla protesta degli insegnanti che la dovrebbero attuare.

A maggior ragione se questa riforma pretende di rilanciare un processo autonomistico cui è indispensabile la fiducia di tutti coloro che sono chiamati a un maggior impegno per migliorare l'offerta formativa.

Difficile spiegare il senso di una forzatura che, per altro, produrrà un vero e proprio salasso elettorale per il PD, se non con l'autoreferenzialità intrinseca di un metodo di governo ostile a ogni intermediazione con le forze sociali e i corpi intermedi.

Al fine le aperture al confronto, imposte dalla forza straordinaria della mobilitazione del mondo della scuola, si sono rivelate del tutto insufficienti ad affrontare i nodi politici ed educativi in gioco.

Innanzi tutto la questione del nuovo modello organizzativo per lo sviluppo dell'autonomia scolastica basato, in analogia al jobs act per il mondo del lavoro privato, sull'indebolimento del lavoro a favore delle funzioni dicomando. Un'idea vecchia e autoritaria inadatta alle organizzazioni complesse,sia pubbliche che private, in cui la figura lavorativa centrale è costituita da soggetti caratterizzati da alti livelli di competenza e autonomia tecnico-professionale. In questi contesti, infatti, la partecipazione e la cooperazione sono le leve principali dei processi di innovazione e di miglioramento qualitativo.

Il maxi emendamento presentato dal governo ha attenuato il potere di comando del dirigente scolastico eliminando la discrezionalità nella conferma triennale degli insegnanti. La funzione di elaborazione del piano dell'offerta formativa, poi approvato dal consiglio d’istituto, è stata restituita alcollegio docenti. Ma ha confermato l'impostazione originaria della scelta degli insegnanti da parte del dirigente scolastico sulla base del proprio potere d'indirizzo impresso al piano dell'offerta formativa.

Sempre il maxi emendamento ha introdotto anche una confusa e improbabile commissione di insegnati, studenti, genitori e nominati dall'amministrazione scolastica che dovrebbe affiancare il dirigente scolastico nella distribuzione dei premi economici agli insegnanti migliori, inventandosi per gli insegnanti una nuova autorità salariale, carnevalesca e unilaterale,sostitutiva a quella legittima del contratto.

Al posto di questi pasticci la legge dovrebbe, invece, creare le condizioni per favorire la contrattazione di riconoscimenti per la valorizzazione del merito degli insegnanti: istituzione del portfolio delle competenze professionali, finalizzato a documentare i titoli di studio e le competenze professionali certificate che sono state apprese attraverso l'esperienza professionale e i percorsi di formazione, e definizione di procedure caratterizzateda scientificità, oggettività, terzietà, indipendenza finalizzate aindividuare, validare e certificare le competenze professionali, arricchite e aggiuntive, degli insegnanti.

Al posto della chiamata nominativa, fonte di discrezionalità incontrollabili, la legge dovrebbe affidare alla contrattazione le definizione di nuove modalità per favorire l'incontro tra domanda e offerta di competenze professionali specifiche degli insegnanti per la realizzazione del piano triennale dell'offerta formativa.

Il governo, invece, ha pensato di recepire la protesta attenuando alcuni aspetti senza modificare un'impostazione.

Ha eliminato il cinque per mille alle scuole che avrebbe amplificato le già gravi diseguaglianze territoriali, ma ha confermato le defiscalizzazioni a favore delle scuole private senza trovare un euro per il diritto allo studio in presenza di un preoccupante aumento delle famiglie in difficoltà che non possono più mandare i figli a scuola e all'università.

L'impostazione originaria che il governo ha incassato imponendo la fiducia contrasta, tra l'altro, con la finalità indicate dal primo articolo del disegno di legge, dove l'obiettivo della riduzione delle diseguaglianze èstrettamente connesso a un modello di autonomia scolastica ispirato non alla concorrenza ma alla cooperazione.

La mobilitazione proseguirà, tutte le organizzazioni in campo lo hanno confermato, comprese le 32 associazioni che hanno sottoscritto l'appello"La Scuola che cambia il Paese". In queste condizioni di ostilità attiva diverse parti del disegno di legge non potranno essere attuate.

Inoltre la sentenza della Corte Costituzionale, dichiarando l'illegittimità del blocco della contrattazione pubblica proprio alla vigilia dell'approvazione al Senato del disegno di legge, ha riaperto la via maestra del contratto nazionale di lavoro per ridefinire in modo condiviso i temi delle carriere e della mobilità degli insegnanti, su cui il governo che voleva metterela scuola al primo posto ha provocato il più grande sciopero della storia del sindacalismo scolastico italiano.


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