L’Italia non attrae i super ricercatori, perso un miliardo in 12 anni
Nella Champions League della ricerca i cervelli italiani sono tra i più talentuosi ma per affermarsi realmente spesso devono scegliere l’estero
Marzio Bartoloni ed Eugenio Bruno
Nella Champions League della ricerca i cervelli italiani sono tra i più talentuosi ma per affermarsi realmente spesso devono scegliere l’estero. Dalla nascita del Consiglio europeo della ricerca (Erc) - che dal 2007 a oggi ha finanziato con i suoi ambìti grant oltre 9mila scienziati top per un totale di 17 miliardi distribuiti - ben 852 borse sono andate agli italiani. Meglio hanno fatto solo tedeschi (1.505), inglesi (1.107) e francesi (972). Ma se i nostri connazionali sono tra i fuoriclasse d’Europa il “campionato” italiano dell’innovazione è tra i meno attrattivi del Vecchio Continente. In 12 anni (dal 2007 al 2018) solo 42 stranieri hanno scelto l’Italia, a fronte dei 394 cervelli di casa nostra che hanno fatto il percorso inverso. Uno dei tanti “brain drain” che ci affligge e che ci colloca al 32esimo posto su 36 nel’indice Ocse sull’attrattività dei talenti.
I flussi in entrata e uscita
La ricerca è solo la punta dell’iceberg. Parlarne può aiutarci a riassumere la perdita di appeal del brand Italia e la “fuga dei cervelli” che ci attanaglia. Come ha ricordato anche il governatore di Bankitalia, Ignazio Visco, nelle sue considerazioni finali, sottolineando che «la produttività e la capacità imprenditoriale risentono inoltre negativamente del progressivo aumento delle quote di giovani e di laureati che ogni anno lasciano l’Italia, riflesso dei ritardi strutturali dell’economia». La mobilità, come noto, fa parte del Dna di ogni buon ricercatore che si muove per cercare il laboratorio più adatto alle sue ricerche (i tedeschi anche di più degli italiani: ben 521 dal 2007 sono espatriati), ma il dato davvero anomalo sono i soli 42 scienziati (3,5 l’anno) che hanno scelto università e centri di ricerca italiani. Siamo tra gli ultimi in questa speciale classifica guidata dall’Inghilterra, che finora ha attratto 933 risorse dagli altri Paesi Ue, dalla Svizzera (453), dalla Germania (397) e dalla Francia (317). Fanno molto meglio di noi nell’attrarre i ricercatori anche paesi più piccoli come Olanda (246), Austria (154), Spagna (111) o Danimarca (70).
La perdita per il Paese
La questione non è solo scientifica, ma anche economica. I 500 cervelli - tra nazionali ed esteri che hanno scelto l’Italia - hanno speso nel nostro Paese la loro ricca borsa di studio con la quale oltre al materiale e ai macchinari scientifici si pagano gli stipendi a team di giovani collaboratori. Si tratta di quasi un miliardo di euro (850 milioni per l’esattezza) che per un Paese come il nostro alle prese da anni con tagli alla ricerca è una cifra importante. Se non fosse che almeno altrettanto importante è la cifra verosimilmente persa dall’Italia dopo la partenza di quasi 400 studiosi. L’Italia per i suoi numeri dovrebbe piazzarsi subito dopo la Francia che in tutto attrae 1.129 scienziati (812 francesi e 317 dall’estero). E invece si piazza alle spalle anche di Olanda e Svizzera.
Perché questo gap così profondo? Per una debolezza strutturale del nostro sistema Paese. E per una cronica ritrosia dei nostri atenei a strutturare dei percorsi di carriera per i ricercatori più promettenti. Nonostante dal 2005 sia possibile assegnare un posto da associato ai vincitori di una borsa europea. La prima ad averlo fatto è stata la Sapienza di Roma nel 2012, che è anche l’istituzione italiana con più borsisti Erc (34) in questi 12 anni. Ma l’impressione è che a mancare sia stata finora una strategia complessiva. Anche per questo dal ministero dell’Istruzione considerano una vittoria importante la nomina di Mauro Ferrari alla presidenza dell’European research center per il periodo 2021-2027: il più ricco anche dal punto di vista del bilancio visto che la sua dote dovrebbe salire da 13,1 a 1,6 miliardi. Senza contare un possibile effetto Brexit che vedrà, presto o tardi, il principale vincitore di bandi Erc uscire dalla contesa per i fondi. Un motivo in più per farci trovare pronti. E va letta così la scelta del Miur di destinare una decina di milioni del prossimo fondo First proprio all’attrazione di studiosi in possesso di un grant. Nella consapevolezza che si tratta solo del primo passo.