«L'istruzione diventa la prima vittima nel Paese in cui purtroppo uno vale uno»
Intervista a Sabino Cassese
Professor Cassese, perché la scuola viene sempre trattata come l'ultimo dei problemi dei governi?
«Intanto le dico perché, invece, la scuola dev'essere una priorità. Non solo la scuola ma l'istruzione in generale. Dev'essere una priorità in quanto è il modo migliore per quello che gli inglesi, con una bella espressione, chiamano il people's empowerment, cioè il dotare di potere il popolo. I populisti non capiscono, non avendo a loro volta sufficiente istruzione, che la forza del popolo è nell'istruzione. Un popolo più istruito è un popolo che parla di più, sa farsi ascoltare, ha più voce in capitolo».
E non è il caso del popolo italiano?
«Nel corso della nostra storia, intorno al 1880, quando si cominciò a parlare del suffragio universale, si disse: non c'è bisogno di darlo a tutti, lo avranno a mano a mano tutti quelli che andranno alla scuola elementare. Basterà introdurre l'istruzione elementare obbligatoria e dare il diritto di voto non in base al censo, ma in base alle capacità (il livello di istruzione). Poi Giovanni Giolitti, nelle sue memorie, intorno alla prima guerra mondiale, scriverà amaramente: non siamo riusciti a mandare tutti quanti alla scuola elementare, e a dotarli quindi del voto, invece li abbiamo mandati a morire sul fronte per difendere quella Patria che non li ha neppure riconosciuti come cittadini pleno jure. Per questo bisogna introdurre il suffragio universale (maschile)».
E oggi?
«L'Italia è uno dei Paesi europei con il minor numero di laureati in rapporto alla popolazione. E siamo il penultimo Paese in Europa per conoscenza di una lingua straniera».
Ma appunto per questo bisognerebbe dare priorità all'istruzione. Perché non lo si fa?
«Perché siamo mal governati. E perché nessuno è riuscito a dialogare veramente con il mondo della scuola. Non c'è stato coraggio d'investire in questo campo, che è il cuore della società. Un indicatore significativo: all'inizio della carriera un insegnante italiano è più o meno retribuito quanto un suo collega di un altro Paese europeo. Ma, alla fine della carriera, l'insegnante straniero guadagna molto di più del nostro. Manca una vera progressione stipendiale».
E' l'uno vale uno, motto del M5S?
«Questo riguarda il prestigio sociale. Se si sottovaluta la competenza, l'insegnante non sarà apprezzato nella società. Quindi, il mondo degli insegnanti da un lato non si vede riconosciuto dal corpo dello Stato, e dall'altro lato non viene riconosciuto nella società nella quale vive. Quindi è insoddisfatto e frustrato. Ne consegue che la politica cammina, nel campo dell'istruzione, come se camminasse in un campo minato. Cioè la evita».
Non crede che a tutti gli errori compiuti l'attuale ministra, Azzolina, ne stia aggiungendo altri?
«Ha fatto anche cose buone. Per esempio sulla questione dei concorsi. Ha detto: bisogna farli. E si è scontrata con i sindacati. Che sono prigionieri dei precari, i supplenti che vogliono entrare nei ruoli senza concorso».
Servono più soldi o più idee per rianimare l'istruzione?
«Occorrono sia gli uni che le altre. L'istruzione non riguarda soltanto le persone in età scolastica. Bisogna superare la situazione attuale, lucidamente analizzata da Tullio De Mauro: su 60 milioni di italiani, la metà é composta da analfabeti, o analfabeti di ritorno, o analfabeti funzionali, cioè persone che non riescono a usare in modo efficace la
capacità di lettura e scrittura».
Cattive classi dirigenti producono cattiva istruzione?
«C'è un rapporto diretto. Cattive classi dirigenti sottovalutano il ruolo dell'istruzione. E forse una società più istruita, avrebbe una classe dirigente migliore di questa, che non dà alcun valore all'istruzione e alla competenza. Una volta ho chiesto a Beppe Grillo: se a casa sua c'è un rubinetto che perde, chiamerebbe il falegname? E se c'è un tavolo che traballa, si rivolgerebbe all'idraulico?».
Mario Ajello