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L'illusione di agire senza aver imparato

di Giuseppe De Rita

27/07/2019
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Corriere della sera

Alcune settimane fa, nella commemorazione milanese dell’avvocato Giorgio Ambrosoli, mi sembrò giusto segnalare che la sfida della legalità non si vince declamando ad alta voce il suo valore assoluto (magari con raduni, marce, treni, navi della legalità), ma solo con il suo ostinato esercizio quotidiano, come fece Ambrosoli per anni: mai una dichiarazione, meno che mai un tweet; solo un silenzioso spoglio di bilanci e documenti, alcuni verosimilmente taroccati.

Ne feci ricordo perché sono convinto che quel che abbiamo perso, come cultura collettiva, è proprio l’ostinato quotidiano esercizio sulle sfide che abbiamo di fronte e sulle cose in cui crediamo. Dovunque posiamo lo sguardo, ci cadono le braccia: troviamo personaggi che fanno generico protagonismo con tante dichiarazioni valoriali, centinaia di fulminee prese di posizione, una selva confusa di comunicazioni via social; ma difficilmente troviamo personaggi che esprimono una continua ostinata fedeltà all’oggetto del proprio lavoro. Tanto che restiamo quasi sorpresi ed ammirati della solida qualità di novantenni (Andrea Camilleri e Francesco Saverio Borrelli fra essi) che per anni hanno fatto ostinata gavetta di professione a riprova che nelle cose serie vince sempre l’ostinazione dell’esercizio.

Oso comunque pensare che non si tratti di una virtù passata, un retaggio di «vecchi»: l’Italia è piena, infatti, di piccoli imprenditori, di dirigenti di impresa, di ricercatori scientifici, di operatori sanitari e sociali, di liberi professionisti, di magistrati, di amministratori centrali e locali che fanno esercizio serio della propria attività, imparandola e quotidianamente professandola; e mai improvvisando qualche uscita dal coro per assicurarsi una accidentale presenza sulle cronache nazionali.

Certo, optando per le dichiarazioni ad horas di chi governa si può pensare di avere più visibilità e talvolta più potere, ma poi i sistemi così vagamente governati si prendono la loro perfida vendetta. Così la conclamata priorità della scuola e della formazione slitta in alto (verso seminari internazionali e master di specializzazione), ma alla fine si scopre che siamo al pericolo di un analfabetismo di ritorno, perché i giovani nel tempo non hanno imparato ad imparare, magari con un po’ di sofferenza.

Così la indispensabile macchina di intervento pubblico (politico e amministrativo) naviga in intenzioni generiche quanto eccezionali, perché ha perso l’ostinato esercizio della politica (dove sono finiti i disprezzati professionisti della politica?) e dell’azione amministrativa (dove sono finiti i solidi ostinati competenti dell’atto amministrativo?). Così la centrale importanza della comunicazione pubblica finisce in un campo invaso da imbonitori di immagini e di rancori, proprio perché in esso si è impoverito quell’ostinato esercizio a capire e a spiegare che in passato aveva creato grandi giornalisti e opinion-makers.

In verità, siamo prigionieri della nostra incultura di base, prigionieri dell’illusione di poter operare senza imparare. Qualcuno può continuare ad esprimersi come se fosse «nato imparato», ma resta tutto da fare (e per tutti) quel primordiale esercizio ad imparare che in vita ci è stato ostinatamente imposto dalle nostre maestre elementari, con il loro ostinato imporci asticelle, lettere, dettati, poesie a memoria.

Invece di inventarci altre decine di master, riprendiamo il processo formativo dalle radici, dal silenzioso ruolo sociale delle maestre. Ammetto che mi possa far velo il ricordo di mia madre maestra e delle sue colleghe e dei colleghi che mi hanno formato all’inizio del mio cammino culturale, veri giganti (nel mio ricordo) dell’ostinato esercizio del farmi imparare: più maestre che «Maestri», verrebbe da dire, perché quel che serve, nell’attuale propensione al facile ed al generico, è l’ostinato esercizio a far bene il proprio lavoro: quello iniziale dell’imparare come quello adulto del vivere in comunità.

Un filosofo francese ha scritto che «l’amore è una avventura ostinata». Non possiamo pensare che la nostra vita, quella fuori degli affetti, possa essere un’avventura liscia: ci sono sempre problemi e difficoltà, ma in quei momenti vince solo l’ostinazione a viverla bene. Se la cosa vale per una vicenda affettiva, credo sia giusto indicarla come valida anche nei settori più delicati della società, quelli in cui c’è speranza solo se ci si lavora dentro con ostinato esercizio.


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