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L'Espresso-Idea: chiudiamo duemila scuole

PUBBLICA ISTRUZIONE / I CONTI IN ROSSO DELLA MORATTI Idea: chiudiamo duemila scuole Al ministero non c'è una lira. Oltre alle sedi, rischiano pure i 30 mila docenti in attesa di assunzione. E non...

08/08/2002
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L'Espresso

PUBBLICA ISTRUZIONE / I CONTI IN ROSSO DELLA MORATTI
Idea: chiudiamo duemila scuole
Al ministero non c'è una lira. Oltre alle sedi, rischiano pure i 30 mila docenti in attesa di assunzione. E non finisce qui

di Andrea Benvenuti
Cari genitori godetevi le vacanze perché, al vostro ritorno, potreste trovare una spiacevole sorpresa. Il liceo o la media dove avete iscritto vostro figlio potrebbero rischiare la chiusura. La scuola italiana, infatti, ha i conti in rosso e ben 2.003 istituti, circa un quinto del totale, potrebbero presto ricevere cattive notizie dal ministero.

Più che un autunno caldo, insomma, si prospetta una fine estate rovente. Tanto più che i sindacati sono sul piede di guerra. La colpa di tutto? Tremila miliardi di vecchie lire che il ministro della Istruzione, Letizia Moratti, ha impegnato per l'avvio dello scorso anno scolastico senza copertura di spesa. Un buco che ha fatto arrabbiare il ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, impegnato, dal canto suo, a far quadrare i conti pubblici e a chiudere il Dpef, il Documento di programmazione economico e finanziario. Il Tesoro ha così stretto i cordoni della borsa e, nella prossima Finanziaria, per adesso, non è previsto un euro per l'avvio dell'anno scolastico.

Una decisione che, se confermata, avrà pesanti ripercussioni sul funzionamento della scuola pubblica. Infatti, senza nuove risorse, non potranno essere assunti i 30 mila docenti che aspettano fiduciosi nelle graduatorie (come previsto da un decreto del novembre 2000 del governo Amato che stabiliva la messa in ruolo di 104 mila docenti in tre anni) e le cattedre saranno coperte con le solite supplenze. Un aspetto molto delicato su cui il ministro non vuole mostrare il fianco. Moratti è donna e manager di riconosciuta personalità e capacità. Soprattutto nel far quadrare i bilanci. Così si è rimessa a fare i conti e a fare le pulci al carrozzone della scuola pubblica. Negli uffici di viale Trastevere, a Roma, i collaboratori del ministro hanno scandagliato tutte le voci di spesa. Il risultato? Un tris di proposte che susciteranno feroci polemiche.

La prima, la più nota ma che continua a far arrabbiare i sindacati, riguarda il numero di professori che attualmente non insegnano o, meglio, che sono destinati ad altro incarico: 18 mila persone che Moratti vorrebbe far tornare in classe per risparmiare circa 800 miliardi di vecchie lire. Circa 6 mila sono le persone non idonee a insegnare per motivi di salute. Altri mille sono i docenti che insegnano all'estero con incarichi fino a sette anni, poi ci sono 3 mila persone che lavorano nei provveditorati e nei ministeri, altri mille impegnati a far funzionare la macchina dell'autonomia scolastica e un migliaio di sindacalisti. Il vero problema è che, senza risorse, quest'anno, non si potranno nominare in ruolo i vincitori dei concorsi. Nomine che andavano fatte entro il 31 luglio scorso. Gli aventi diritto sono 30 mila, i sindacati sostengono che c'è bisogno di mettere in ruolo 60 mila persone, il Governo ha risposto che le cattedre vacanti non sono più di 37 mila. La guerra delle cifre va avanti, ma sono scaduti i termini di legge per prendere provvedimenti concreti.

Il secondo asso nella manica del ministro, per far partire quella che qualcuno chiama la campagna "tolleranza zero contro gli sprechi", è un elenco di 32 pagine con oltre 2 mila scuole (2.003 per la precisione), elaborato dal Servizio di consulenza all'attività programmatoria del ministero dell'Istruzione, nel quale vengono indicati gli istituti che presentano un rapporto tra alunni e docenti al di sotto della media nazionale, fissata al 9,50.

L'elenco indica, provincia per provincia (vedi tabella in basso), le scuole (circa un quinto del totale nazionale) che non rispettano questo parametro. Per lo più, si tratta di istituti comprensivi (quelli che hanno riunito elementari, medie, superiori) e istituti professionali, ma vengono indicati anche i nomi di licei artistici e scuole d'arte su cui l'amministrazione di viale Trastevere vuole vederci chiaro. Delle 2.003 scuole individuate, 1.445 (oltre il 72 per cento) hanno un coefficiente compreso tra l'8 e il 9,50, mentre soltanto 23 occupano la fascia tra l'1,80 e il 5,95. E, sempre tra queste, l'istituto con il coefficiente più basso, indicato all'inizio dell'elenco, è il Serafico di Assisi, scuola speciale per ciechi pluriminorati.

Il documento è stato consegnato ai sindacati, durante l'ultimo incontro prima della pausa estiva, e ha fatto trasalire i rappresentanti di Cgil Cisl e Uil. "È un semplice calcolo matematico", sottolinea Daniela Colturani, segretario generale della Cisl Scuola, "ma nasconde dei risvolti inquietanti. Moratti crede di avere in mano la mappa degli sprechi da presentare a Tremonti? Si sbaglia, in realtà, ha soltanto una lista in cui sono state inserite scuole che hanno un funzionamento e una struttura molto diversa". Eppure, assicurano i collaboratori del ministro dell'Istruzione, è questa la strada da seguire. Ci sono troppe "scuole vuote". E, senza una riqualificazione dell'universo scolastico, le tre parole d'ordine del governo Berlusconi per la scuola italiana, "equità, solidarietà e rigore", rischiano di rimanere nel cassetto. "Il problema è un altro", aggiunge Colturani, "non abbiamo capito se rigore equivale a tagli delle spese, accorpamenti o addirittura chiusure di alcuni istituti".

Dal ministero di viale Trastevere, a Roma, c'è il silenzio più assoluto. "Il ministro ci deve far capire che cosa intende fare", dice Enrico Panini, segretario generale della Cgil, "quelle scuole sono rimaste aperte con apposite delibere dei Consigli regionali. Se non rispettano il coefficiente medio nazionale del 9,5 è perché sono stati introdotti alcuni correttivi". Tra quelle indicate nell'elenco del ministro dell'Istruzione, ci sono infatti scuole presenti all'interno di parchi naturali, istituti che rappresentano l'unico punto di riferimento per la popolazione delle comunità montane o delle isole; edifici costruiti per le esigenze dei bambini con handicap, ma anche licei artistici, scuole d'arte, oltre a centinaia di istituti tecnico-professionali. Situazioni particolari, casi limite ai quali non sembra applicabile il parametro medio di un insegnante ogni 9,5 alunni.

Nell'elenco del ministro Moratti c'è, come già detto, l'Istituto Serafico di Assisi, scuola elementare per ciechi pluriminorati, fondato nel 1871. Unico centro in Italia specializzato nella riabilitazione, educazione e inserimento sociale di minorati della vista con gravi disabilità fisiche e mentali. Accoglie 36 studenti e 20 insegnanti: il rapporto tra alunni e docenti, a esclusione di quelli di sostegno, è di 1,80. Ma non è l'unico esempio: tra le scuole per bambini con handicap, sono nominate anche l'Istituto Lombardo Radice di Milano (419 alunni e 104 insegnanti, rapporto pari a 4,03) e l'Istituto per sordomuti di via Nomentana a Roma (22 alunni, quattro insegnanti, coefficienti pari a 5,50).

Tra i nomi, spunta anche l'Istituto tecnico-commerciale per geometri Ziga Zois di Trieste (aperto in base a un accordo internazionale tra Italia e Slovenia); il Liceo scientifico di Ustica senza il quale i ragazzi dell'isola dovrebbero prendere, tutti i giorni, l'aliscafo per Palermo come fosse un autobus. E ancora, gli Istituti d'arte di Caltagirone (Catania) e agrario di via Mergellina a Napoli. Il circolo didattico del comune di Ponte di Legno, a Brescia, regno del leghista Umberto Bossi, e due veri e propri fiori all'occhiello della scuola italiana: l'Istituto d'arte Alpinolo Magnini di Perugia, più noto come la scuola delle ceramiche di Deruta, e l'Istituto per l'industria e l'artigianato Cimino, più conosciuto come scuola dei liutai di Cremona.

"Fino a oggi, con la nascita degli istituti comprensivi", spiega Panini della Cgil, "sono state chiuse 3.500 scuole. In molte regioni si è stabilito che il numero medio di alunni per istituto poteva oscillare tra un massimo di 900 e un minimo di 300". I sindacati sostengono che "è possibile ridurre gli sprechi", ma non si può "tagliare a caso". E citano i dati dell'Ocse, l'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, che indicano un abbassamento, per i prossimi anni, del rapporto tra insegnanti e alunni per istituto scolastico. "In Italia", commenta Colturani, "il numero delle ore insegnate è maggiore di quello europeo: fino a 35 ore contro le 30 della media Ue".

Il terzo asso nella manica della Moratti riguarda la riforma dei cicli scolastici. La legge non sarà approvata in tempo per l'inizio del nuovo anno. Attualmente è ferma in commissione Istruzione del Senato e, anche facendo un tour de force, non ci sono i tempi tecnici per arrivare al voto in aula (poi il testo deve andare alla Camera), oltre al fatto che la commissione Bilancio ha sentenziato che non ci sono risorse sufficienti ad approvarla. "È tutto rimandato alla fine dell'anno", afferma la senatrice Ds Maria Chiara Acciarini: "Lo sprint del ministro è stato solo mediatico. Ha buttato già dalla torre la legge 30 dell'ex ministro Berlinguer, ha annunciato che avrebbe fatto una riforma in tempi brevi e ora si ritrova che gliela bocciano anche quelli della sua maggioranza".

Ma Moratti ha trovato un'altra strada per far partire la riforma. Come? In modo sperimentale. Prima, ha firmato dei protocolli d'intesa con la provincia di Trento e le regioni Piemonte, Lombardia, Puglia, Molise; poi ha chiesto al Consiglio nazionale della pubblica istruzione, il parlamentino di viale Trastevere, di esprimere un parere sulla proposta di sperimentazione volontaria su scala nazionale. Tre i punti forti su cui testare la sperimentazione.

Il primo è costituito dall'inserimento del maestro prevalente nella prima classe delle elementari: 21 ore settimanali, compiti di coordinamento e punto di riferimento delle famiglie degli alunni. Il secondo dalla possibilità di svolgere il primo anno di scuola dopo le medie in un qualunque centro di formazione professionale. Il terzo, infine, dalla proposta di iscrizione anticipata alla scuola dell'infanzia e di quella al primo anno della scuola elementare per i bambini che, il 28 febbraio del 2003, compiranno rispettivamente tre e sei anni. "Un'iscrizione", sottolinea Acciarini, "di cui potranno usufruire solo 44 mila degli 89 mila bambini che hanno diritto all'iscrizione anticipata solo alla scuola elementare".

Tutti gli altri, quelli della scuola per l'infanzia, rimarranno a casa. "In sostanza", commenta Alba Sasso, deputata Ds, "si lascerà decidere ai singoli comuni, ma il diritto allo studio rischia di prendere una brutta strada, nuova per l'Italia: quella della discriminazione economica".


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