L’esercito di riserva dei precari E i costi umani anche per i ragazzi
in attesa del verdetto della corte di giustizia europea
Ogni anno 140 mila supplenti garantiscono il funzionamento della scuola. Ma la girandola dei prof incide negativamente sui livelli di apprendimento
di Orsola Riva
Sono tanti (140 mila), senza un posto fisso (lavorano a chiamata, una volta qui, un’altra volta là: ovunque ci sia bisogno) e non hanno diritto a scatti di anzianità e nemmeno alle ferie pagate. Sono i precari della scuola: un esercito di donne e uomini, maestri e maestre, professori, insegnanti di sostegno e personale ausiliario, senza i quali le scuole semplicemente non potrebbero funzionare ma che ogni anno vengono licenziati a giugno e riassunti a settembre per risparmiare sui due mesi di stipendio che altrimenti gli spetterebbero.
La Corte di Giustizia europea
Sulla sorte di questi dannati della scuola è chiamata a decidere la Corte di Giustizia europea che potrebbe condannare definitivamente lo Stato italiano per infrazione del diritto comunitario, coerentemente con altre prese di posizione analoghe dei mesi scorsi. Alla base del verdetto, una direttiva comunitaria del 1999 che prevede l’assunzione in via definitiva per tutti quei dipendenti che hanno svolto almeno 36 mesi di servizio anche non continuativo. La sentenza non è attesa prima di un paio di mesi. Ma se, come i sindacati si augurano, fosse positiva provocherebbe un terremoto in Italia. E se già al Miur non dormono sonni tranquilli, ancor più preoccupati sono i funzionari del Ministero dell’Economia per il timore che un verdetto sfavorevole scarichi sulle casse statali un peso considerevole, viste le pesantissime sanzioni che ci verrebbero comminate: si parla di diversi miliardi di euro, arretrati compresi, senza pensare ai costi per stabilizzare i precari. L’unica carta che il governo può giocare a proprio favore è l’articolo 15 del decreto legge 104/13 («L’istruzione riparte») che prevede nel triennio 2014-2016 la copertura di circa 87 mila posti vacanti, fra docenti ordinari, insegnanti di sostegno e assistenti tecnico-amministrativi (personale Ata). Posti che andrebbero assegnati per metà ai precari storici e per l’altra metà ai vincitori dei concorsi. E che certo non possono bastare a stabilizzare tutti i precari. Il ministro Stefania Giannini è stata molto chiara: «Non credo – ha detto lunedì – che per risolvere il problema del precariato la strada sia la stabilizzazione. Bisogna trovare il modo di smaltire questa piaga tutta italiana e poi avviare un reclutamento che sia continuo, che consenta a tutti i giovani che lo vogliono di fare questo mestiere straordinario quando escono dall’Università». La stabilizzazione di tutti i precari storici sanerebbe un’ingiustizia pregressa ma ne creerebbe una nuova anche più grande tagliando fuori dalla scuola un’intera generazione di giovani e motivati aspiranti professori.
Gae, Pas, Tfa: l’alfabeto dei precari
Ma torniamo alla «piaga» del precariato, come l’ha definita il ministro. Quanti sono effettivamente i precari della scuola? Centoquarantamila infatti sono «solo» quelli che lavorano. Ma in realtà sono molti di più. Il gruppo più consistente è rappresentato dai 180 mila «precari storici» delle graduatorie a esaurimento (Gae). In queste liste provinciali, chiuse ormai da 6 anni (salvo periodiche sanatorie), stanno coloro che hanno conseguito l’abilitazione con le Ssis (le scuole di specializzazione all’insegnamento secondario in funzione fino al 2008) o che hanno vinto un concorso (l’ultimo, prima che il ministro Profumo decidesse di bandirne uno nuovo nel 2012, risaliva al 1999). Data la loro anzianità di servizio, rappresentano l’élite, o comunque il girone meno diabolico, nell’inferno dei precari. A loro spettano infatti la metà dei posti concessi per le immissioni in ruolo e la prima scelta delle supplenze annuali e fino al termine delle lezioni. E questo spiega anche perché gli insegnanti italiani siano così vecchi (più della metà ha dai 50 anni in su, mentre gli under trenta sono appena il 2,5%). Poi ci sono i precari non abilitati con almeno tre anni di supplenze che hanno fatto domanda per i cosiddetti percorsi abilitanti speciali (Pas). In tutto 66 mila persone che attualmente stanno in terza fascia nelle liste di istituto da cui i dirigenti scolastici scelgono i supplenti lunghi e brevi ma che grazie ai Pas hanno la possibilità di acciuffare l’abilitazione in un anno senza nemmeno dover sostenere una selezione all’ingresso. Gli ultimi della fila sono i cosiddetti tieffini, coloro cioè che hanno conseguito l’abilitazione con i tirocini formativi attivi (Tfa) a numero chiuso e con test di accesso: costoro sono in molti casi neolaureati fuori da tutte le graduatorie e da tutte le liste, in altri docenti di terza fascia o docenti che hanno già un’abilitazione ma ne vogliono rendere un’altra. Passini e tieffini si contendono il diritto di precedenza nelle supplenze in nome gli uni dell’anzianità di servizio gli altri del merito.
Precari che lavorano
Ma quanto «pesano», quanto contano, alla fine, i precari nel funzionamento delle scuole? Quest’anno su 728.325 docenti si contano 120.339 supplenti: 108.284 assunti fino al 30 giugno e solo 12.055 «con le ferie pagate» (contratto al 31 agosto). Ai 120 mila insegnanti bisogna poi aggiungere 18.979 Ata: in tutto 139.318 persone (senza contare i 40-50 mila supplenti temporanei chiamati dai dirigenti scolastici a coprire i buchi di organico imprevisti). Nel linguaggio burocratico della pubblica amministrazione questi 140 mila rappresentano l’«organico di fatto» della scuola, quell’esercito di riserva che ogni anno a luglio si aggiunge, con decreto del Miur, all’«organico di diritto» per sopperire alle esigenze variabili delle scuole. A differenza dei colleghi di ruolo, non lavorano mai (o quasi mai) nello stesso istituto, con conseguenze drammatiche per loro e una ricaduta forse anche peggiore per bambini e ragazzi ai quali non riescono a garantire la necessaria continuità didattica. Se poi si pensa che la forbice fra organico di fatto e di diritto è massima per gli insegnanti di sostegno (49.741 supplenti su 101.391), che cioè proprio chi avrebbe più bisogno di un rapporto stabile con il proprio insegnante si ritrova in balia della girandola dei supplenti, si vede bene quanto costi caro il precariato non solo ai diretti interessati ma anche ai nostri figli. Perché alla fine, le vere vittime dei risparmi fatti sulla pelle dei precari sono proprio loro: i ragazzi. Lo dimostrava già uno studio sul turnover dei docenti redatto qualche anno fa dall’ex presidente dell’Invalsi Paolo Sestito. Ogni anno un insegnante su cinque è un nuovo arrivato nella scuola in cui si trova ad operare (o perché è un precario licenziato a giugno e riassunto in altro istituto a settembre o perché è un docente di ruolo che ha chiesto il trasferimento). Il risultato è lo stesso: la girandola dei prof incide negativamente sui livelli di apprendimento dei ragazzi. Sono loro, alla fine, a pagare il costo più alto.