L'esercito degli scienziati cinesi. Nel 2030 domineranno le Stem
Aumento esponenziale dei laureati, la Cna investe 200 miliardi all’anno in ricerca scientifica. E i laureati cinesi sono la maggioranza nelle Università americane
Gianna Fregonara
Nei prossimi quindici anni la Cina non sarà più soltanto il Paese che esporta a basso prezzo e bassa qualità né il mercato più grande (e forse interessante) del mondo. Leggendo le previsioni e le proiezioni dell'Ocse, nel 2030 la Cina sarà il più grande «produttore» di scienziati, nel senso di laureati in materie cosiddette Stem, cioè scientifiche, ingegneristiche, tecnologiche e matematiche. Il 37 per cento dei laureati del mondo sarà cinese. E non solo, un altro 26.7 per cento verrà dall'India, insieme i due Paesi avranno due terzi degli scienziati del mondo. Già oggi in Cina si laureano in materie scientifiche (Stem) 2.5 milioni di studenti all'anno, cinque volte più che negli Stati Uniti.
Qualità & quantità
E' vero che quantità non vuol dire sempre anche qualità e che le Università cinesi - che hanno una crescita di laureati esponenziale - si litigano i «pochi» insegnanti migliori e hanno ancora bisogno di molti professori stranieri. Ma il governo cinese ha messo tra le priorità ormai da qualche tempo l'istruzione superiore e universitaria: secondo il rapporto pubblicato da McKinsey Quarterly, la Cina spende 200 miliardi all'anno in ricerca, un livello di investimento che è secondo solo a quello - in gran parte privato - degli Stati Uniti. Ed è qui che gli studenti cinesi puntano per i loro studi: ormai più della metà dei laureati in materie scientifiche negli Stati Uniti è straniera e soprattutto di origine cinese e indiana: da Pechino e Shanghai sono partiti (i dati sono del 2014) 274 mila studenti verso gli Atenei americani, cinque volte di più che nel 1999. Il governo cinese dal 2012 ha attivato anche un progetto di rientro dei cervelli: sono già tornati più di due milioni di studenti e laureati all’estero (400 mila solo l’anno scorso), che sono poeticamente chiamati «le tartarughe di mare» ma che in termini economici valgono diversi punti di Pil.
Il nano europeo
L'Europa in questa classifica del 2030 rischia di non esserci o di giocare un ruolo molto ridotto. Non basta per consolarci pensare alla qualità della ricerca o ai prestigiosi programmi Erc. Il primo Paese europeo nelle proiezioni al 2030 è la Germania, dodicesima con una quota dell'1,4 per cento di laureati Stem, seguita dalla Gran Bretagna e poi più sotto dalla Francia e dalla Spagna (0,7 per cento). L’Italia è ancora più sotto. Considerando i Paesi tutti insieme e anche la Gran Bretagna come parte della squadra, cosa di cui non c'è più alcuna certezza, l'Europa potrebbe comunque competere come numero di «scienziati» con gli Stati Uniti, ma certo ci sarebbe bisogno di politiche e investimenti più aggressivi per la ricerca scientifica e l'Università. E non va dimenticato che l'Europa resta un sistema ancora molto più orientato verso le materie umanistiche che non quelle Stem.
La rivoluzione mondiale
I numeri risentono innanzitutto dei dati demografici, ma anche di politiche che negli ultimi anni soprattutto in India e Cina hanno sostenuto con successo allargamento dell'educazione terziaria. Qualche dato: dal 2005 al 2013 nei Paesi Ocse e G20 i laureati sono aumentati del 45 per cento, e se nel 2005 solo il 14 per cento della popolazione mondiale (25-34 enni) aveva la laurea, nel 2030 si pensa che potrà essere il 45 per cento ad aver completato il percorso. Il programma europeo Horizon 2020 punta a che in Europa già tema quarto anni il 40 per cento dei cittadini 34enni abbia la laurea. Purtroppo l'Italia, e lo ha anche dichiarato il ministro Stefania Giannini, non raggiungerà l'obiettivo europeo.
Il predominio delle materie scientifiche
Non si tratta soltanto di orientare gli studenti più verso la scienza o verso le materie umanistiche ma, come ha messo in evidenza di recente il blog del Worldwide economic Forum, in gioco c'è anche l'agenda della ricerca medica e farmaceutica con interessi etici ed economici molto grandi. Tanto per avere una fotografia di quanto sta succedendo a livello globale nelle Università, basta sfogliare la sintesi dell'Education indicators in Focus dell'aprile 2015. Se nel 2005 un laureato su sei era americano mentre Cina, Russia, Giappone e India ne avevano uno su dieci oggi la classifica è già rovesciata, con la Cina in testa (17 per cento) seguita da Stati Uniti e India (14 per cento). Nel 2030 si calcola che Cina e India avranno 150 milioni di laureati (considerando la popolazione giovane, 25-34 enni) mentre l'Unione europea sommata agli Stati Unit, l'ex mondo occidentale, conteranno insieme a livello mondiale per meno di un quarto, con meno di 70 milioni di laureati. Il vantaggio dal punto di vista delle Stem di Cina e India è dovuto al fatto che hanno una distribuzione più bilanciata dei tipi di laurea: già nel 2012 in Cina c'erano il 40 per cento di laureati Stem e il 45 in lettere, giurisprudenza e scienze sociali. Nei Paesi OCSE la perorazione è due a uno. In Francia, Germania e Gran Bretagna solo un terzo degli studenti sceglie materie scientifiche.