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L'educazione civica torni nei programmi scolastici

Paola Severino

29/08/2014
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Il Messaggero

aola Severino
La preannunciata intenzione del Governo Renzi di procedere ad una organica riforma della scuola parte da un punto di vista assolutamente condivisibile. Se si vuole dare un nuovo impulso alla società italiana occorre partire dall’educazione dei nostri bambini, dei nostri ragazzi, dei nostri giovani. Occorre cioè seminare fin dall’infanzia quei germi culturali che dovranno via via maturare per formare una classe di cittadini rispettosi delle regole, attenti alla crescita socio-economica del Paese, stimolati ad aprirsi alla comparazione con altre realtà nazionali, invogliati alla mobilità interna ed internazionale, consapevoli che il merito dovrà essere l’unico parametro di valutazione per la crescita culturale e professionale.
Non a caso ho inserito il rispetto delle regole come primo punto di attenzione. In un Paese nel quale è diffusa l’idea che possa vincere non chi merita di più, ma chi è più furbo degli altri (e quindi evade le tasse, adotta sistemi di concorrenza sleale, cerca scorciatoie di ogni tipo, dalla raccomandazione al pagamento di tangenti) il ripristino del senso della legalità rappresenta uno degli obiettivi principali di chi voglia davvero cambiare le cose. In un Paese nel quale una parte delle famiglie ha educato i propri figli - anche con il cattivo esempio personale - a credere che le regole del successo non coincidono con quelle di una corretta convivenza civile, è necessario che la scuola si proponga come modello alternativo.
Un modello alternativo volto a trasmettere non solo nozioni, ma anche modelli di comportamento ispirati appunto al rispetto delle regole. Ricordo che nei programmi scolastici della mia generazione erano inserite due materie, poi non so per quale motivo eliminate, che potrebbero certamente essere utili per le indicate finalità: l’economia domestica e l’educazione civica.
Quanto all’economia domestica, essa avviava i giovani ai primi rudimenti dell’economia, insegnando i principi su cui si fondano i commerci nazionali ed internazionali ed introducendo il concetto di bilancio come metodo fondamentale per equilibrare e programmare entrate ed uscite, a partire dal bilancio di una famiglia per poi estenderlo al ben più complesso mondo dell’impresa. Pur senza entrare nel merito tecnico dei concetti, questa materia insegnava un metodo di programmazione delle proprie attività economiche, da quelle più semplici a quelle più complesse, secondo parametri di correttezza ed equilibrio tra voci di entrata e voci di uscita.
Quanto all’educazione civica, essa introduceva i giovani al significato della legge e dei principi costituzionali, al senso del rispetto dell’altro come momento fondante della convivenza civile, all’osservanza delle regole come momento imprescindibile per la crescita sociale ed economica, all’esercizio del diritto come momento costitutivo di un potere limitato dagli altrui corrispondenti diritti, al rispetto dei doveri come forma basilare per il riconoscimento del proprio diritto.
Alcuni potranno pensare che si tratti di materie ormai desuete o che possono entrare a far parte del patrimonio culturale di un giovane anche in fasi dell’apprendimento successive a quelle della scuola dell’obbligo. Io stessa non avevo più pensato a quei remoti insegnamenti come possibile contributo alla risoluzione degli attuali mali della nostra società. Ci sono state però due recenti circostanze che mi hanno indotto a ritenere che la reintroduzione di queste materie negli anni iniziali della scuola potrebbe dare risultati di rilievo anche nella situazione attuale.
La prima nasce dalla constatazione che il disastro economico verificatosi negli Stati Uniti in materia di mutui immobiliari aveva trovato radici proprio in una diffusa ignoranza, a livello familiare, delle più elementari regole economiche. L’enorme e sconsiderata crescita dei mutui subprime, che poi generarono il fallimento delle due grandi banche specializzate in questo tipo di prestiti, era infatti dovuta alla diffusa convinzione, ovviamente contraria ad ogni più elementare principio di economia, che si potesse continuare a spendere molto di più di quanto entrava e di quanto si era capaci di restituire. Certo, questo disastroso esempio potrà evitare, per il prossimo futuro, che il fenomeno si ripeta, ma solo una condivisa coscienza sociale del problema, da diffondersi fin dai primi insegnamenti scolastici, potrà stabilizzare il principio che per ogni famiglia l’equilibrio di bilancio è tanto importante quanto per le piccole e grandi imprese.
La seconda circostanza è rappresentata dalla comparazione con soluzioni efficacemente adottate in epoche recenti da altri Stati. Intendo riferirmi alle politiche anticorruzione utilizzate ad esempio dall’Autorità di lotta alla corruzione che opera, con effetti di straordinaria efficacia, nella città di Hong Kong. È noto che in quella città il fenomeno era così profondamente radicato che qualunque servizio sociale o comunque pubblico si attivava solo col pagamento di una tangente. Non so se sia altrettanto noto che oggi quella stessa città ha quasi completamente debellato il fenomeno della corruzione, come risulta anche dalle classifiche internazionali, che la vedono tra i primissimi posti nel contrasto a tale forma di illecito. Se poi ci si chiede quali siano le cause di questa vera e propria rivoluzione sociale, si potrà rilevare che essa in parte deriva dai forti investimenti apprestati per la costituzione dell’Autorità e dalla risolutezza dei suoi interventi, in parte dalla scelta di inculcare nei cittadini, fin dai primi anni di scuola, l’insegnamento che la corruzione è un cancro che distrugge l’economia e distorce ogni regola di convivenza civile. Se ora ritorniamo all’attualità italiana e constatiamo quanto bisogno ci sia di combattere efficacemente un fenomeno che finora non si è purtroppo riusciti a sradicare, l’esempio fornitoci da questo tipo di intervento può portarci a concludere che forse l’occasione della auspicata riforma della scuola possa essere utilmente sfruttata proprio per reintrodurre tra le materie di insegnamento quella che un tempo chiamavamo educazione civica e che oggi potremmo intitolare “educazione anticorruzione”. Tale insegnamento sarebbe volto a costituire la base socio-culturale per formare una generazione di cittadini consapevoli che il pagamento di una tangente rappresenta una gravissima forma di attentato alle basilari regole della convivenza civile. Essa consente infatti che qualcuno ottenga illecitamente quello che altri potrebbero e dovrebbero ottenere lecitamente, distrugge l’economia sana, frena la crescita del Paese. Effetti deleteri, questi, che alcuni di noi studiosi abbiamo avuto occasione di analizzare e di approfondire, ma che invece dovrebbero rappresentare patrimonio comune di tutti noi cittadini italiani, rendendoci partecipi di una lotta che non può più essere condotta solo dalla magistratura o dalle Autorità preposte, ma deve essere da tutti condivisa, fin dalla prima età. Ciò consentirebbe, su base ben più ampia, di additare e di isolare, anche attraverso l’esecrazione e il dissenso sociale, coloro che, come pubblici ufficiali, vengono meno a principi di imparzialità e fedeltà alla pubblica amministrazione e coloro che, come privati, sono pronti a promettere od offrire il pagamento di tangenti come mezzo per ottenere un indebito vantaggio.
In conclusione, una corretta educazione anticorruzione, fin dall’età scolare, potrebbe fornire un utile contributo alla tanto auspicata crescita socio-economica del nostro Paese.


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