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L'Avvenire: La riforma è uno spartito Aspettiamo l'orchestra

LE SFIDE DELLA NUOVA MATURITÀ

07/08/2006
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Giuseppe Savagnone

L'approvazione, da parte del Consiglio dei ministri, dello schema di disegno di legge proposto dal ministro Fioroni, con cui si cambiano le regole degli esami di Stato, costituisce senza dubbio una svolta significativa. Una prova come questa, destinata a riassumere e valutare l'iter educativo di uno studente e per di più, da sempre carica di un forte valore simbolico, non è un semplice segmento del percorso scolastico, ma una meta, un traguardo, la cui struttura non può non influire sul lavoro che la precede e la prepara.
Così, del resto, era stato - purtroppo in negativo - per la formula precedente, in cui a giudicare i candidati erano commissioni esclusivamente interne. La tendenza a chiudersi in una logica autoreferenziale, già abbastanza sviluppata in molti professori, ne era stata confermata e rafforzata. Per non parlare della festa dei diplomifici. Non c'è da stupirsi se, nei confronti del mondo esterno, tutto ciò aveva segnato una perdita di credibilità non solo dei risultati dell'esame di Stato, ma dell'intero sistema scolastico.
Con la riforma appena attuata le commissioni saranno di nuovo costituite in maggioranza da membri esterni, anche se il numero dei membri interni sarà sufficiente per rappresentare il punto di vista del consiglio di classe. La dimensione del dialogo e del reciproco ascolto appare così, per quanto possibile in un meccanismo del genere, sufficientemente garantita.
Un punto importante della riforma è il ripristino del giudizio di ammissione. Allo stato attuale, poteva accadere (e accadeva!) che uno studente che aveva avuto pessimi voti nell'ultimo anno si presentasse egualmente e, pur avendo di fronte gli stessi professori, riuscisse - in un modo o nell'altro - a superare le prove. Ora questo strappo alle buone regole diventa impossibile. La valutazione del consiglio di classe, al termine del lavoro scolastico ordinario, diventa criterio decisivo per potersi presentare agli esami. Non solo. Si precisa che lo studente non potrà affrontarli se non avrà saldato tutti i debiti degli anni precedenti (anche se questa regola varrà solo a cominciare da coloro che frequenteranno nel prossimo autunno il terz'ultimo anno).
Non va sottovalutata neppure la modifica del punteggio. Viene dato più spazio ai crediti accumulati dall'alunno nel corso dell'ultimo triennio, che passano da 20 a 25, mentre si riduce il peso del voto orale, che scende da 35 a 30 punti. Saranno valorizzate così le differenze tra i risultati ottenuti, nei tre anni precedenti l'esame, dagli studenti migliori e quelli di coloro che si limitano a studiare lo stretto necessario, differenze che, in ventesimi, erano veramente irrisorie. Per una scuola che ha un disperato bisogno di veder riconosciute le eccellenze e penalizzati il disimpegno e l'abulia questo cambiamento, insieme all'assegnazione di borse di studio agli studenti più meritevoli, è sicuramente un passo avanti.
Va nel senso di una maggiore serietà dell'esame anche la decisione di dare maggiore spazio e consistenza alla prova d'indirizzo degli istituti tecnici, facendola svolgere in laboratorio e dilatando il tempo di attuazione. È, per quest'ordine di studi, un segnale di attenzione di cui si sentiva una particolare urgenza. In questo contesto diventa plausibile l'obbligo, per le facoltà universitarie a numero chiuso, di assegnare una quota del punteggio di ammissione ai risultati conseguiti dal candidato durante la carriera scolastica.
Resta da aggiungere che l'ultima parola spetta a chi questo esame dovrà effettivamente gestirlo, cioè ai docenti. Dal loro senso di responsabilità e dal loro impegno dipenderà la fisionomia che esso effettivamente assumerà, passando dalla carta all'attuazione pratica. Una riforma è come uno spartito musicale: la qualità dell'esecuzione dipende dall'orchestra. Speriamo di ascoltare questa volta della buona musica.


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