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Riforma Moratti, tutti i no dell'opposizione di Elena Tebano Nonostante la sperimentazione sia già cominciata in 250 scuole italiane, la riforma Moratti trova sempre più ostacoli sul proprio c...

02/10/2002
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Riforma Moratti, tutti i no dell'opposizione
di Elena Tebano

Nonostante la sperimentazione sia già cominciata in 250 scuole italiane, la riforma Moratti trova sempre più ostacoli sul proprio cammino. A cominciare dalla Commissione Bilancio, che non ha emesso sollecitamente il proprio parere sull'emendamento del relatore in merito alla copertura finanziaria del provvedimento, costringendo di fatto il governo a rimandare la discussione in Senato, prevista per lo scorso 26 settembre, a questa settimana.
Neppure la finanziaria sembra venire incontro alla riforma: il governo, invece di concedere stanziamenti per finanziarne l'avvio, ha previsto tagli ingenti.
Il punto, però, è che insegnanti, studenti e genitori sanno poco o niente di come la ministra Moratti intenda cambiare la scuola italiana. Per capirne di più, abbiamo chiesto alla senatrice Ds Vittoria Franco, che fa parte della Commissione Istruzione al Senato.

Senatrice, può spiegarci quali saranno le conseguenze di questa legge?
Porterà cambiamenti molto rilevanti su nodi centrali del sistema formativo; al momento, però, è difficile dire con certezza quali. La ministra, infatti, ha deciso di ricorrere alla legge delega, che dà facoltà al governo di emanare decreti su una materia così delicata, aggirando quindi la discussone parlamentare sui singoli provvedimenti. E' come se la riforma Moratti fosse un mosaico dalle caselle vuote, caselle che verranno riempite dai decreti delegati, fuori, quindi, dalla discussione parlamentare.

La legge delega, però, contiene alcune indicazioni importanti: cosa se ne può desumere?
Innanzitutto viene abrogata la riforma della scuola avviata da Berlinguer e proseguita da De Mauro. A indicare concretamente come verranno attuate le disposizioni presenti nella legge, ci sono poi gli atti compiuti finora dal governo in materia di istruzione. La sperimentazione è il termine di confronto più importante, anche se è stata decisa quando la ministra Moratti si è resa conto che la sua proposta di riforma avrebbe richiesto più dei pochi mesi previsti e dunque risente della frettolosità e dell'improvvisazione con cui è stata avviata. Possiamo tuttavia già osservare che essa prevede solo in parte misure contenute nel disegno di legge, dove non compare, ad esempio, la figura del maestro prevalente.

Quello che è certo, è che l'istruzione scolastica verrà divisa in due cicli: il primo, comprendente una scuola primaria di cinque anni e una secondaria di tre; il secondo diviso in due percorsi distinti: il sistema dei licei e quello della formazione professionale. Mi sembra che per il primo ciclo le novità si limitino all'introduzione di una lingua straniera nel primo anno di scuola e alla nuova denominazione del periodo elementari-medie.
No, non è esatto: si avranno delle modifiche sostanziali e molto importanti. Intanto, il termine di paragone non è l'attuale scansione elementari-medie, ma quella uscita dalla Legge 30 (cioè dalla riforma Berlinguer), anche se non è mai stata applicata. La divisione interna al primo ciclo inserisce uno scarto (il passaggio da scuola primaria a secondaria) in un periodo delicato per la crescita dei ragazzi, a differenza della scuola di base prevista dalla precedente riforma, che sarebbe durata sette anni.
La prima lingua straniera a sei anni, poi, non è una novità: la introduceva già la Legge 30, così se ne ritarda solo l'applicazione.

E per quanto riguarda l'anticipo dell'iscrizione a due anni e mezzo o a cinque e mezzo?
L'anticipo tocca proprio uno dei segmenti formativi che funzionano meglio in Italia: gli asili del nostro paese sono i migliori del mondo, tanto che vengono studiati e imitati a livello internazionale. Bisogna prendere atto, inoltre, che le scuole d'infanzia sono ormai parte del sistema formativo nazionale, non semplici centri di assistenza. Faccio un esempio: un bambino di due anni e mezzo può ancora aver bisogno del pannolino e comunque necessita di molte più cure dei bambini più grandi. Se una maestra, che è prima di tutto un'educatrice, deve accudire i bambini, sottrae spazi e tempi al processo formativo. E questo è solo uno degli esempi possibili. Non ha senso destrutturare una segmentazione (quella da sei mesi a tre anni e da tre anni a sei) che ha funzionato così bene.
Oltretutto la legge dice che deve essere la famiglia a decidere se il bambino è abbastanza maturo per anticipare l'iscrizione, ma non stabilisce su quali basi. A quell'età, ciò che segna il grado di sviluppo non è tanto la capacità di imparare quanto se il bambino sia capace di stabilire relazioni affettive. Un bambino di 5 anni e qualche mese può aver imparato da solo a leggere e scrivere, ma non a stare con gli altri, perché gli manca comunque un anno di socializzazione (magari negli asili) rispetto ai bambini di 6 anni: non è detto che iscrivendolo a scuola i genitori lo aiuterebbero.

Cosa comporterà, invece, l'articolazione del secondo ciclo nel sistema dei licei e in quello dell'istruzione professionale?
Significa che già a 13 anni i ragazzi dovranno scegliere se prendere la corsia preferenziale per l'università, cioè il sistema dei licei, oppure se imparare un mestiere, con dei periodi di tirocinio a partire dai 15 anni.
A nostro avviso, però, in questo modo si introducono due aspetti negativi: la scelta precoce, perché un ragazzo, a 13 anni, difficilmente avrà la consapevolezza per scegliere una strada così definita, e un abbassamento di fatto dell'obbligo scolastico. Riteniamo che qui la riforma confonda l'istruzione e la formazione: la formazione professionale, infatti, è molto specifica, fornisce delle abilità tecniche, in altri termini insegna un mestiere. L'istruzione invece è più ampia, permette di acquisire abilità critiche, analitiche, competenze non direttamente spendibili in una professione, ma che permettono di sviluppare una determinata struttura mentale, prima fra tutte la capacità di apprendimento. I ragazzi che scelgono la formazione professionale non godrebbero più del diritto all'istruzione, ma semplicemente del diritto alla formazione. L'obbligo scolastico ritorna in questo modo al minimo di 8 anni previsto dalla Costituzione.
Oltretutto, la formazione professionale prospettata dal governo non corrisponde neppure alla nuova organizzazione del lavoro, che è sempre più flessibile e non richiede soltanto il possesso di determinate competenze, ma proprio la capacità di imparare. Proprio quello, cioè, che si acquisisce con un'istruzione generale: si impara ad imparare.

La riforma, però, prevede dei meccanismi di passaggio da un sistema all'altro: un ragazzo che dopo due o tre anni, per esempio, capisse di voler continuare a studiare, potrebbe cambiare dalla formazione professionale ai licei. Un sistema di 'crediti formativi' servirà a misurare l'equivalenza o meno dei due percorsi, cioè a quale classe di un sistema formativo corrisponde un determinato anno nell'altro sistema. La formazione professionale, inoltre, dura quattro anni, ma è possibile richiedere un quinto anno integrativo di preparazione all'esame di stato che, una volta superato, consente l'iscrizione all'università.
Certo, il problema, però, è quanto siano praticabili questi passaggi. Un ragazzo di 16 anni iscritto al sistema professionale, da un anno svolge tirocini pratici e da tre lezioni finalizzate all'acquisizione di competenze tecnico-pratiche: difficilmente avrà potuto sviluppare gli strumenti cognitivi e la struttura mentale per imparare materie astratte come la fisica, la chimica, il latino o la letteratura. Materie a cui il sistema dei licei educa nell'arco di anni e in maniera progressiva, proprio perché presuppongono la formazione e la stratificazione di determinati strumenti intellettuali. Quel ragazzo, quindi, se volesse cambiare dal sistema professionale a quello dei licei, avrebbe bisogno di tempi e spazi notevoli per recuperare. A meno che non sia un genio, ma la pubblica istruzione non deve essere fatta pensando ai geni. Si dovranno allora creare strutture integrative che permettano il passaggio, mettendo a disposizione insegnanti e risorse; altrimenti i ragazzi, nel '#8216;cambio' di sistema, saranno lasciati a se stessi, o alla possibilità dei genitori di pagare privatamente insegnanti di sostegno. La legge delega parla solo di 'apposite iniziative didattiche', senza specificare. Quello che però il governo non prevede, nella riforma, sono proprio le risorse economiche, tanto meno quelle che dovrebbero finanziare questo tipo di strutture integrative. Ugualmente difficoltoso sarà, almeno che non diventi un semplice pro forma, il quinto anno aggiunto alla formazione professionale: come è possibile imparare in un anno quello che gli studenti dei licei imparano in cinque?

Berlinguer, a suo tempo, aveva introdotto una forma di finanziamento pubblico alla scuola privata, con i tanto discussi '#8216;buoni scuola': adesso invece?
La ministra Moratti, con la Legge 440, ha già istituito finanziamenti diretti alle scuole private. La Legge 440 è quella che finanzia l'autonomia degli istituti e prevede l'erogazione di fondi anche alle scuole di parità (le scuole private pubblicamente riconosciute). La sostanza della riforma Berlinguer, per quanto questo sia stato considerato da alcuni uno dei suoi aspetti discutibili, era invece ben diversa, perché il finanziamento avveniva nell'ambito del diritto allo studio: i soldi venivano dati in sostegno alle famiglie in stato di bisogno, e queste potevano decidere se usarli per iscrivere i figli alla scuola pubblica o ad una privata. Adesso invece si finanziano direttamente le scuole private: i soldi dati a loro sono soldi sottratti all'attuazione dell'autonomia nelle scuole pubbliche, e si sa quanto queste ne abbiano bisogno.

Perché tanto Berlinguer e De Mauro, quanto la Moratti hanno pensato che il modo migliore per riformare la scuola fosse cambiare i cicli e non invece un altro tipo di intervento?
La riforma dei cicli è importante per ottenere uno standard di qualità elevato nell'istruzione pubblica: può adeguare la scuola ad una società che è ormai molto diversa da quella in cui l'attuale struttura scolastica è nata. Ma non è certo l'unico modo: anche l'autonomia è stata pensata per raggiungere questo obiettivo, come uno spazio per creare in relazione al pubblico che si ha di fronte. L'intervento sui cicli, però, da solo non basta: c'è bisogno di investire nella scuola più risorse, sia professionali che economiche. La finanziaria, però, per la scuola ha previsto solo tagli.


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