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Lunedì, 13 Maggio 2002 Insegnanti, stipendi ancora lontani dall'Europa di Pino Patroncini In questi giorni si avvia la stagione del rinnovo contrattuale per circa un milione di lavoratori d...
Lunedì, 13 Maggio 2002
Insegnanti, stipendi ancora lontani dall'Europa
di Pino Patroncini
In questi giorni si avvia la stagione del rinnovo contrattuale per circa un milione di lavoratori delle scuole statali. Venerdi 3 maggio, separatamente ma contemporaneamente, si sono riuniti i direttivi nazionali dei sindacati scuola aderenti a Cgil Cisl e Uil per varare le linee guida unitarie del rinnovo contrattuale. In pratica si tratta dell'ipotesi di piattaforma che nell'arco di un mese sarà sottoposta a migliaia di assemblee in tutta Italia e che, una volta discussa e approvata, rappresenterà la base delle trattative con il MIUR, o meglio con l'Aran, l'agenzia che lo rappresenta in sede di contrattazione nazionale.
Obiettivo centrale di questo rinnovo, soprattutto per quello che riguarda il corpo docente, sarà raggiungere entro il quadriennio di vigenza contrattuale gli agognati parametri stipendiali europei, che già avevano costituito la meta del rinnovo economico relativo all'ultimo biennio del passato contratto. Ma gli aumenti ottenuti, pur superiori complessivamente alla fatidica inflazione programmata, non hanno spostato di molto il rapporto tra le buste paga dei docenti italiani e quelle dei loro colleghi europei. Anche perché nel periodo trascorso non è che negli altri paesi gli insegnanti ed i loro sindacati siano stati con le mani in mano.
Resta quindi fuori discussione che da un punto di vista puramente contabile il rapporto con gli stipendi degli altri paesi europei non regge sia che si prendano stipendi iniziali, finali o a metà carriera sia che si confrontino i diversi gradi di scuola.
Per brevità prendiamo solo i più grandi paesi europei: Francia, Spagna, Germania e Inghilterra.
Secondo i dati Ocse, che calcolano gli stipendi in base a unità monetarie rapportate al potere d'acquisto, chi più si avvicina all'Italia sono, tra i maestri, i francesi, con circa il 33% di stipendio in più, tra i professori della scuola media gli spagnoli con circa il 25% in più, e tra i docenti del secondo grado sono di nuovo i francesi con circa il 25% in più. I tedeschi non ci vedono proprio: dall'80% al 100% in più!
Questione della diversa ricchezza dei paesi? Rapportato al PIL l'indice del valore degli stipendi medi degli insegnanti italiani dà rispettivamente nei tre gradi di scuola 108, 119 e 123, quello dei francesi 126, 146 e 206, quello dei tedeschi 165, 183 e 200, quello degli inglesi 192, 200 e 200 e quello degli spagnoli 199, 199 e 257. Come dire che, non solo in Inghilterra e in Germania, ma persino in Spagna, dove sicuramente i redditi sono inferiori a quelli italiani, un docente accede a una quota di ricchezza nazionale praticamente doppia, o quasi doppia, rispetto a quella di un italiano.
Ma quando si tocca il tasto dei salari europei c'è sempre qualcuno pronto a obiettare che all'estero gli insegnanti lavorano di più e sono in numero inferiore, quindi costano di meno complessivamente. Ma anche questa è solo una mezza verità: come orario di lezione settimanale in Italia si lavora in genere meno nella scuola media. Meno della Francia anche nella scuola elementare e dell'Inghilterra e della Germania nella secondaria superiore. Invece si lavora più o meno come in Spagna e in Inghilterra nella scuola elementare. Si lavora di più che in Germania nell'elementare e più che in Francia e Spagna nella secondaria superiore. E anche quanto a giorni di scuola i nostri 200 giorni di lezione effettivi non sfigurano a fronte dei 164 giorni spagnoli o di un calendario francese che, pur iniziando il 5 settembre e finendo il 29 giugno, prevede ben 62 giorni di vacanza in corso d'anno.
Quanto al personale, 1.000.000 di operatori scolastici italiani, di cui circa 300.000 maestri e 450.000 professori, non sono poi percentualmente molti di più di 1.350.000 operatori francesi, di cui circa 350.000 maestri e 516.000 professori, e di circa 500.000 insegnanti spagnoli (per una popolazione che è di un terzo inferiore a quella italiana), soprattutto se si calcola che sul corpo docente italiano si caricano funzioni (50.000 insegnanti di sostegno, 30.000 insegnanti di religione, 100.000 precari, di cui nessuno classificato come tirocinante, stagista o animatore, come succede altrove) e attività (prescuola, mense, copresenze) diversamente gestite negli altri paesi.
Due soli vantaggi possono essere ascritti alla condizione dei lavoratori della scuola italiana: la richiesta di una minor preparazione per accedere ad alcuni insegnamenti e la minor divaricazione salariale tra i gradi di scuola.
In nessun altro dei principali paesi europei basta studiare fino a 18 anni di età per insegnare nella scuola dell'infanzia e nelle elementari. Ma ormai dal 2001 anche in Italia questa possibilità non c'è più. Ora anche per questi gradi di scuola è necessaria la laurea.
In nessun altro paese, tranne l'Inghilterra, la differenza retributiva tra i tre gradi di scuola arriva al massimo al 16% . In Germania e Francia supera il 20% ed in Spagna il 30%, pur in presenza di titoli di studio più omogenei. E questo senza ricorrere a premi di professionalità che quando esistono, come nel caso degli agregé francesi, portano la differenza al 65%.
E' un dato che i lavoratori farebbero bene a tenere presente se si vuole mantenere la funzione unica in tempi in cui si parla troppo spesso di contrattazioni separate.
Un terzo elemento, una volta vantaggioso, si sta rivelando un boomerang: la progressione economica. Compressa negli anni settanta e ottanta anche per scelte sindacali a favore di un corpo docente in maggioranza giovane ( si stima che il 60% del corpo docente attualmente in servizio sia entrato in ruolo tra il 1974 ed il 1984), oggi pesa sugli stessi docenti ormai invecchiati, costituendo un ulteriore scarto con gli altri paesi europei. Sicché quelle percentuali di differenziazione si divaricano ulteriormente a fine carriera. E questo anche confrontando le semplici progressioni di anzianità, senza cioè ricorrere a valutazioni e premi di professionalità, presenti per altro solo in Francia e in Inghilterra.
Non è dunque tutto oro quello che luccica in Europa, ma non vi è dubbio che oggi i docenti italiani lamentano di fare un lavoro reale superiore a quello ufficiale e di ricevere un salario reale inferiore al lavoro ufficiale. La prima di queste questioni è ancora aperta e dibattuta anche nel resto d'Europa, ma la seconda invece è ben definita ed è perciò ben definibile anche da noi.
Pino Patroncini
Cgil Scuola