ItaliaOggi: Si scatena la protesta dei supplenti:Tutti contro il divieto di ricoprire gli spezzoni fino a 6 ore
La novità, introdotta quest'anno dal ministero dell'istruzione, riduce la possibilità di un incarico.
Monta la protesta dei docenti precari per il divieto di assegnare a supplenza gli spezzoni fino a sei ore. La novità è stata introdotta quest'anno dal ministero della pubblica istruzione con alcune interpretazioni del nuovo regolamento delle supplenze. E rischia di ridurre notevolmente le probabilità di ottenere un incarico.
Specie per i docenti più giovani e per coloro che appartengono a classi di concorso con molti esuberi. Per esempio: A017, economia aziendale e A032/A031 educazione musicale nelle scuole medie e superiori.
No agli spezzoni
Le nuove norme, infatti, prevedono che i piccoli spezzoni non possano più essere assegnati ai supplenti dagli uffici scolastici e dalle scuole polo, nella fase provinciale dell'attribuzione degli incarichi.
si superano le sei ore
E in più c'è l'incognita delle cosiddette aggregazioni. Vale a dire, dei processi di assemblaggio degli spezzoni di cattedra, che portano alla costituzione di cattedre su più sedi (cattedre orario) e di spezzoni composti (due o più spezzoni di poche ore uniti in modo tale da costituire uno spezzone più grande, anche tra più scuole). Aggregando i piccoli spezzoni, infatti, è possibile raggiungere le sette ore: il limite minimo che consente l'assegnazione degli incarichi ai supplenti da parte degli uffici e dei dirigenti delle scuole polo. In caso contrario, gli spezzoni da sei ore in giù vanno ai docenti interni come ore di straordinario (cosiddette ore eccedenti). Ma i criteri per effettuare le aggregazioni sono piuttosto labili. E ciò aumenta il clima di incertezza, talvolta di sospetto, che si determina in questi casi.
Aggregazioni
Su questa questione, peraltro, l'amministrazione centrale è intervenuta il 7 agosto scorso (si veda ItaliaOggi del 21 agosto) ricordando alle amministrazioni periferiche che i piccoli spezzoni devono, comunque, essere aggregati tra loro. Sempre però avendo cura di rispettare il criterio della facile raggiungibilità. E fino a un massimo di tre scuole e due comuni. Nessun problema per il limite delle tre scuole in due comuni. I problemi nascono, invece, quando bisogna applicare il criterio di facile raggiungibilità.
L'incognita
Il ministero, infatti, non ha mai chiarito che cosa debba intendersi per comuni facilmente raggiungibili. E ciò ha determinato l'insorgenza di interpretazioni non univoche da parte di uffici e dirigenti scolastici. C'è stato chi ha fatto riferimento a una vecchia ordinanza che regola le cattedre orario delle superiori (le cattedre costituite su più sedi) nella quale c'è scritto che le sedi dove sono ubicate le frazioni che costituiscono la cattedra devono essere situate entro un raggio di 30 chilometri (ordinanza 332/96, articolo 7, comma 2, lettera d). E ci sono stati altri che hanno applicato questo criterio in modo meno rigido. Tanto più che l'ordinanza delle cattedre orario delle scuole medie (191/97) non prevede affatto tale limite.
Insomma, anche su questa questione si naviga a vista. E quando non vi sono direttive chiare, non di rado i chiarimenti interpretativi vengono scritti dai giudici. Chiarimenti che, peraltro, valgono solo per le parti in causa. Insomma, un tira e molla che dura da anni e che si arricchisce continuamente di nuovi sviluppi.
giurisprudenza
Resta il fatto che l'amministrazione continua a tacere sul criterio di facile raggiungibilità. E l'unico riferimento interpretativo di una certa autorevolezza è contenuto in un'ordinanza del giudice del lavoro di Potenza (rg 2211/2004). Secondo il giudice monocratico, perché possa essere soddisfatto il criterio di facile raggiungibilità è necessario che «fra i due comuni vi sia un collegamento rapido e agevole secondo la viabilità ordinaria e tale da non ostacolare l'esercizio dell'attività didattica... nelle due diverse sedi». Insomma, se c'è una buona strada e si dispone di un'autovettura, anche se si va oltre i 30 chilometri non è un problema. È bene precisare, però, che il caso a cui faceva riferimento il giudice riguardava sedi ubicate in due comuni distanti tra loro poco più di 60 chilometri. Resta il fatto che, sempre secondo il giudice, il limite dei 30 chilometri non esiste.