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ItaliaOggi: Alla ricerca va solo l'1% del pil

È ancora un quadro a tinte fosche quello che emerge dal rapporto sullo stato di salute del settore.

09/02/2007
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ItaliaOggi

È ancora un quadro a tinte fosche quello che emerge dal rapporto sullo stato di salute del settore.

Le scarse risorse disperse tra gli enti senza programmazione

Università ed enti di ricerca, l'eccellenza c'è ma bisogna sostenerla. Perché se è vero che ci sono molti luoghi comuni da sfatare sul panorama della ricerca scientifica italiana che riesce comunque a produrre qualità, è pur vero che le risorse sono quello che sono: l'1% del prodotto interno lordo. Una somma che colloca l'Italia non solo in coda a paesi come la Francia, la Germania o la Gran Bretagna, che spendono tra il 2 e il 2,5% del pil, ma anche in fondo alla media europea dell'1,93%. È sempre questo il nodo da sciogliere in favore della ricerca in Italia, secondo il Comitato di indirizzo per la valutazione della ricerca (Civr), che, per la prima volta, in un rapporto presentato ieri alla presenza del ministro dell'università Fabio Mussi, ha rivelato lo stato reale della ricerca scientifica nel nostro paese relativamente al triennio 2001/2003. Anche se ad aiutare la ricerca a tenere il naso fuori dal pelo dell'acqua ci penserà, secondo i propositi del numero uno dell'università, il First, il Fondo per gli investimenti in ricerca scientifica e tecnologica, un unico canale che riunisce i precedenti Far, Prin, Firb, che permetterà di distribuire più soldi alla ricerca di base e alla ricerca industriale. Secondo l'indagine, che ha riguardato 102 strutture, di cui 77 università, 12 enti di ricerca, 13 istituzioni tra consorzi universitari, fondazioni e istituzioni private di ricerca, il problema non è solo che le nostre risorse sono insufficienti, ma che spesso sono mal gestite e disperse fra i diversi enti, senza spesso collegamento e programmazione. Lo dimostra la disomogeneità territoriale esistente tra i risultati della ricerca Nordovest, Nordest, Centro, Sud e Isole. Troppi divari quindi che, secondo gli esperti del Civr, potrebbero essere superati attraverso l'attivazione di politiche e programmi capaci di innescare nuovi circuiti virtuosi nelle strutture che operano in zone critiche del paese. E sono altri i punti deboli che riguardano la ricerca scientifica: pochi brevetti, poco più di 300 su oltre 18 mila prodotti, la differenza tra le troppo spese per i tecnici e gli amministratori e invece le poche spese per i ricercatori. Risorse umane, risorse finanziarie per strutture e progetti di ricerca mobilità internazionale e valorizzazione applicative sono i dati strutturali sui quali, si legge nel rapporto, occorre avviare una riflessione per superare divari e arretratezze in diverse aree del paese. Per quanto attiene alle risorse umane, limitandosi a fornire un'indicazione di massima, è necessario rilevare che il rapporto tra il personale tecnico-amministrativo e il numero di ricercatori varia nelle diverse aree del paese e assume un valore ben superiore a 1 soprattutto nel Mezzogiorno e nelle isole. A dimostrazione del fatto che quando si parla di finanziamenti per la ricerca, il problema non è da affrontare solo in termini quantitativi, sebbene esista una questione si sottostima del fabbisogno, ma anche in termini di oculatezza nella destinazione delle risorse, visto che i trasferimenti dello stato sono comunque superiori ad altri finanziamenti, sia per le università, sia per gli enti di ricerca. Insomma, secondo il ministro dell'università Mussi, la situazione non è poi così negativa. Anzi, ha specificato Mussi dimostra, ´che non siamo proprio gli ultimi al mondo, che ci sono anche livelli di assoluta eccellenza nella ricerca italiana, che però sono a macchia di leopardo insieme a zone più grigie. Mediamente', ha aggiunto Mussi, ´devo dire che, rispetto a quanto spendiamo, i risultati non sono trascurabili, abbiamo bisogno di coltivare l'eccellenza, di far salire la qualità media del sistema'.


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