ItaliaOggi: A 40 anni da Barbiana la scuola è stata lasciata sola
di Italo Fiorin, docente di didattica generale Lumsa Roma, coordinatore Commissione nazionale sulle Indicazioni Nazionali
Almeno due le soluzioni da perseguire: cambiare metodo didattico e riconoscere il lavoro dei docenti
La pubblicazione dei risultati del rapporto Ocse-Pisa 2006 preoccupa. I nostri studenti quindicenni hanno ottenuto complessivamente un risultato molto modesto, peggiorando quello, già poco lusinghiero, emerso dalle precedenti rilevazioni. Dunque, la nostra scuola è da bocciare? Prima di emettere giudizi drastici è consigliabile una certa cautela. Se la scuola superiore piange, la scuola primaria, al contrario, ha qualche buon motivo per sorridere. Un altro rapporto internazionale (Pirls) ci fa sapere che i ragazzi di nove anni sono tra i migliori al mondo almeno per quanto riguarda la competenza nella lettura. La domanda è inevitabile: che cosa succede nell'arco di tempo che va dalla primaria al biennio della superiore? Ci deve essere qualche motivo se la nostra scuola è eccellente quando si considerino i primi anni e precipita nella bassa classifica quando si passa alle superiori. Esaminando la tipologia di prove Ocse-Pisa utilizzate si constata che quello che viene sondato non riguarda la conoscenza nozionistica, ma la competenza che gli studenti dimostrano quando sono posti di fronte a situazioni-problema. In questo caso non serve tanto ricordare nozioni ma saper utilizzare conoscenze e metodi per affrontare situazioni inedite. Se si desidera che i quindicenni conseguano risultati migliori, non si tratta semplicisticamente di aumentare le ore degli insegnamenti testati, ma di cambiare modello didattico, uscendo dalla tradizione gentiliana secondo la quale basta essere colti per saper insegnare. Si tratta di ripensare in profondità il curricolo, operando una rivisitazione dei contenuti e una profonda revisione dei metodi didattici, privilegiando approcci volti a favorire il ruolo attivo degli studenti. Un secondo dato deve far riflettere. La rilevazione dell'Ocse denuncia l'esistenza di tante diverse Italia e, se la media complessiva penalizza il nostro paese, ci sono province che si situano nelle primissime posizioni. Di fronte alla grande varietà dei risultati si può ipotizzare che l'autonomia scolastica sia un fattore che fa la differenza. Porre attenzione a come viene interpretata l'autonomia è una pista che meriterebbe di essere approfondita. Ma non basta il buono o cattivo uso dell'autonomia a giustificare le differenze. Non si possono trarre conclusioni frettolose. L'apprendimento non dipende, meccanicamente, dall'insegnamento. Gli insegnanti predispongono l'ambiente per apprendere, facilitano, se sono competenti, l'acquisizione dei saperi, ma i fattori che entrano in gioco sono molti: il contesto ambientale, le risorse presenti_ Un altro elemento di differenziazione riguarda le diverse tipologie scolastiche. Perché i risultati conseguiti dagli alunni che frequentano i licei sono di gran lunga migliori di quelli che frequentano l'istruzione professionale? La tante volte affermata equivalenza dei distinti percorsi è al momento solo un'aspirazione. Si affaccia un'ipotesi inquietante. A 40 anni dalla «Lettera a una professoressa» forse ci ritroviamo con gli stessi problemi denunciati dai ragazzi di Barbiana, come se il tempo fosse trascorso invano. Riscopriamo quanto conti la motivazione ad apprendere come fattore di successo scolastico e quanto pesi negativamente un contesto sociale nel quale la scuola non è percepita come un significativo fattore di miglioramento. Di fronte alle disuguaglianze sociali e culturali la scuola non fa la differenza, ma si limita a riprodurre l'esistente. Una scuola incapace e da bocciare o, piuttosto, lasciata troppo sola, in una società che sembra apprezzare e proporre ben altri valori, che non sa guardare al futuro e lascia un corpo docente poco considerato e male retribuito, solo a fronteggiare, ogni mattina, nella trincea dell'aula, il malessere, il disorientamento, il disincanto di giovani.