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Italia, un cantiere senza progetto

In margine ad alcuni interventi del ministro Profumo

26/09/2012
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di Aluisi Tosolini


Il Paese è cambiato e bisogna perciò "cambiare il modo di fare scuola". Questa è la convinzione espressa dal ministro dell'Istruzione, Francesco Profumo, secondo cui "ci vuole una revisione dei nostri programmi in questa direzione".

Intervistato a margine della presentazione della biblioteca del Ministero, che apre al pubblico, Profumo non è tornato esplicitamente sulla questione dell’insegnamento della religione, come aveva fatto qualche giorno fa, ma ha osservato che "nelle scuole ci sono studenti che provengono da Paesi, culture, religioni diverse" e che "la scuola è più aperta, multietnica, capace di correlarsi al mondo di oggi".
A prima vista si tratta di parole semplicemente ovvie. Ma nulla è ovvio in questo strano paese. E infatti, giorni fa al ministro che rifletteva sulla necessità di ragionare sul tema della religione a scuola è stato prontamente ricordato, anche in modo piuttosto rude, che c’è un concordato e che non se ne può fare nulla e che il ministro pensasse ad altro.
E invece. Invece il ministro ha solo ragione. E provo a dire perché, invitando chi legge a lasciare per un momento stare il tema del concordato. Ovvero: il mio ragionamento va bene anche a concordato esistente ed immutabile per altri mille anni.

Il ministro cita le indicazioni nazionali

Sulla prima parte delle dichiarazioni del Ministro (“dobbiamo cambiare il modo di fare scuola ed i programmi”) in realtà non capisco né lo stupore di alcuni né il plauso di altri. Il ministro ha ragione quando dice che la scuola deve rivedersi in chiave interculturale: ma non dice nulla di nuovo se non quanto è scritto esattamente nelle nuove indicazioni nazionali per il primo ciclo che da un lato sostengono la necessità di formare il cittadino glo-cale e dall’altro riprendono il documento del 2007 curato dall’Osservatorio Nazionale sull’educazione interculturale. Dove troviamo scritto che “la prospettiva interculturale - ovvero la promozione del dialogo e del confronto tra le culture – riguarda tutti gli alunni e tutti i livelli: insegnamento, curricoli, didattica, discipline, relazioni, vita della classe”. E continua, con estrema chiarezza: “scegliere l’ottica interculturale significa, quindi, non limitarsi a mere strategie di integrazione degli alunni immigrati, né a misure compensatorie di carattere speciale”. Che cosa occorre fare, allora? “Si tratta di assumere la diversità come paradigma dell’identità stessa della scuola nel pluralismo, come occasione per aprire l’intero sistema a tutte le differenze (di provenienza, genere, livello sociale, storia scolastica).”

Certo, non possiamo che essere contenti che il Ministro richiami la necessità di dare corso alle indicazioni (non ai programmi…) appena pubblicate dal Miur (5 settembre) dopo una intensa fase di rivisitazione e riscrittura. Ma da qui a urlare alla novità…..

Le molte religioni a scuola: una questione di educazione alla cittadinanza demcoratica

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