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Italia Oggi: Penalizzati dal mito classista

Luigi Berlinguer: è cambiata la mission della scuola, la politica deve capirlo.

20/06/2006
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ItaliaOggi

Il diritto al sapere non deve escludere nessuno

Prima di iniziare un'attività di politica scolastica occorre verificare se si conviene sull'analisi delle novità circa la natura e la funzione dell'istruzione nella società contemporanea, e cioè sulla sua nuova mission. C'è molto di cambiato rispetto ai tempi in cui questo tipo di scuola è stata inventata. La democrazia è cresciuta come libertà e come consapevolezza. La domanda sociale di istruzione è mutata: una società complessa ed evoluta richiede un'acculturazione, come bisogno civile, ma anche come esigenza economica. Nessuno più accetta di essere condannato alla depressione professionale come nei tempi andati. Ed è mutata l'articolazione professionale, che registra profili vari e graduati; e si è molto elevata la mobilità da uno all'altro profilo e nel corso della vita. Il sapere è in netta espansione, allarga e insieme brucia inesorabilmente le conoscenze acquisite. Tutto questo rafforza l'interazione e l'intreccio fra cultura e professione, sapere e saper fare, e saper essere; fra apprendimento ed educazione alla cittadinanza, consapevolezza civile. Il sapere totalmente disinteressato perde quota e si arricchiscono anche culturalmente le conoscenze spendibili, mentre qualunque professione richiede una base di consapevolezza e un sostrato culturale assai più ampio. Né basta più dedicare allo studio la fase di impianto di investimento, giovanile, a garantire quella base culturale, perché la rapidità delle nuove conoscenze richiede manutenzione culturale ordinaria e straordinaria continua e assai più elevata (life long learning). Infine, il mezzo tecnologico sta smontando tutto il vecchio impianto didattico. Smonta l'idea fisico-architettonica della classe racchiusa fra quattro mura, autosufficiente, isolata dal resto dell'istituto, dal paese; e smonta le tecniche e le metodologie dell'apprendimento. Il virtuale tende a sostituirsi alla pura fisicità. Internet o una white board, oltre ai media ormai divenuti classici, assicurano risultati nell'apprendimento assai più elevati di quelli tradizionali. Oramai indispensabili strumenti didattici poderosi, efficacissimi, penetranti, specie se gestiti con fantasia e rigore. Rompono l'isolamento, collegano gli alunni a mondi diversi e più ricchi di cultura, se interattivi favoriscono la partecipazione creativa nell'apprendimento, consentono l'esame di un dipinto o la sperimentazione scientifica o linguistica ove le povere e invecchiate strutture tradizionali non arrivano. Certo occorre gestire e piegare il mezzo a obiettivi culturali, non solo ludici.

Si fa presto a trarre da questo abbozzo di analisi una linea di politica dell'istruzione. Primo: essa deve essere rivolta a tutti. Niente di più odioso e discriminatorio che lasciare una parte fuori dal diritto a sapere. Se Piero Citati vuole dalla cultura tenere fuori i falegnami, si accomodi. Ma non gli si dia retta: il primo punto non può che essere l'espansione dell'istruzione. Ancor più di quanto sia avvenuto finora in Italia: favoriamo e incoraggiamo la tendenza, già vincente, che ha portato il 75% dei nostri ragazzi a diplomarsi nella scuola secondaria superiore, sostenendo coloro che ancora non ce la fanno. Sostenendoli economicamente, con aiuti alle famiglie; ma soprattutto culturalmente, perché oggi più che economica la discriminazione sociale è culturale, ed è così che si emargina ed esclude.

Secondo: essendo i tanti molto diversi fra di loro, per curiosità, vocazioni, interessi differenti, al fine di stimolarli e istruirli, tutti, è necessario differenziare i percorsi, e cioè, a monte, le ipotesi culturali. Più percorsi e più culture. Non ci può più essere gerarchia fra i saperi, preminenza di un comparto disciplinare sugli altri (che fra l'altro in Italia ha significato sacrificio della cultura scientifica, ma anche di ogni stimolo scolastico alla creatività espressiva).

Sostenere il diritto di tutti al successo formativo significa anzitutto autonomia, e quindi autonomia curriculare, percorsi anche personalizzati, centralità studentesca e dell'apprendimento, ruolo essenziale delle scuole e in esse dei docenti. Una grande e ben articolata stagione di autonomie, un cresciuto ruolo degli enti territoriali, ma soprattutto dei docenti. Gli insegnanti attraversano da tempo una profonda crisi di ruolo. La loro funzione è cambiata, e non tutti ne accettano la novità. Si sono modificati il compito e i metodi di insegnare/educare, si sono trasformati i destinatari e la loro composizione sociale (studenti), si è fortemente ridotto il supporto scolastico delle famiglie. Compito molto più difficile di prima, e sempre mal retribuito. Non sarà facile uscire da questa seria impasse, e lo si vede in quasi tutti i paesi. L'autonomia è una buona carta, anche se da sola non basta.

Terzo: life long learning. Che significa perenne apprendimento, e perenne aggiornamento. Al tempo con la storia, con le sempre nuove necessità. E anche continue opportunità di crescita, specie per coloro che a scuola sono partiti male perché più deboli o mal supportati fin dai primi passi.

Deuxième chance, plusieurs chances. E quindi significa che l'istruzione non è solo per bambini e ragazzi, ma si organizza per durare, si articola, si differenzia, si calibra, si modella su tutte queste esigenze, per tutta la vita. È sempre istruzione, anche se diversa, anche dopo i 18 anni, e i 30, e i 40. Uno sforzo enorme, da costruire gradualmente. In vari paesi c'è chi lo fa, e con successo. Quarto. Tutto questo sforzo va costantemente valutato.

Vanno monitorati i risultati, i rendimenti, gli impianti didattici, i modelli, i metodi, gli operatori. E non una sola volta, ma periodicamente; e non con esamini o test (ahimè!), ma con indicatori e indagini sofisticate già efficacemente sperimentate. Gli strumenti ci sono, vanno rivitalizzati e aggiornati, ma soprattutto la valutazione deve diventare parte integrante dell'attività di istruzione, non può essere trascurata né tralasciata; e i suoi risultati vanno acquisiti per correggere costantemente difetti e disfunzioni. Quinto. Razionalizzare la gestione. Allo stato spetta l'unità culturale e curriculare del paese e il ponte verso l'Europa, lo stato giuridico e la mobilità docente, la validità (europea) dei titoli conseguiti. Ma la gestione passi alle regioni, di tutte le scuole e non solo di quelle tecniche (un obbrobrio!), e non solo della ´formazione'. Passaggio difficile, delicato, non popolare fra i docenti, rischioso per gli squilibri territoriali storici dell'Italia; e tuttavia necessario. Da gestire con saggezza, gradualmente, incentivandolo; ma da realizzare risolutamente.

Sesto. Last, but not least, anzi forse, più importante di tutti, una riclassificazione dei saperi e quindi delle priorità da assicurare, sia pure senza gerarchie culturali che oso abozzare sapendo che la materia non può essere risolta in poche righe né semplificata oltre misura. Rispetto all'attuale equilibrio disciplinare occorre dare spazio e rilievo maggiori, molto maggiori, fin dai primi anni, ad alcuni contenuti:

A) Agli stimoli alla creatività artistica individuale, con musica e arti, così neglette nella scuola del paese del bel canto e dal grande patrimonio di beni culturali. Ma non come educazione musicale e artistica, bensì come apprendimento ed esercizio effettivo musicale e artistico per tutti gli studenti.

B) Alla preparazione scientifica, come pratica e cultura sperimentale e non libresca. Il che significa diretta sperimentazione scientifica, pratica sperimentalità come fondamento dell'acquisizione di una cultura sperimentale.

C) Preparazione nelle lingue straniere, anche qui con l'obiettivo della praticabilità delle stesse.

Una considerazione finale. Un obiettivo così ambizioso, che parta dai bisogni reali, non può essere perseguito col livello di ideologismo e di scontro violento che caratterizza la politica scolastica italiana. Non sarebbe opportuno abbassare il tasso di confronto e di dialettica, assolutamente vitali e incomprimibili.

È però necessario non restare perennemente volti verso il passato, prigionieri delle gabbie ideologiche risalenti, oscurando così le novità della domanda sociale. Se invece si parte da queste ultime forse è possibile svelenire il dibattito scolastico italiano e trovare un terreno di confronto più disteso e proficuo.

*Consigliere del Csm,

docente presso

l'università di Siena,

ex ministro

della pubblica istruzione


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