"Italia all´avanguardia ma qui nessuno lo sa"
Parla Maiani, presidente uscente del Cnr "Nella robotica e nelle nanotecnologie siamo ai vertici. Ci ferma la burocrazia"
Antonio Gnoli
Luciano Maiani, Presidente del Cnr (ma il mandato è scaduto e si attende da un momento all´altro la nuova nomina), ha l´aria distesa, dopo le polemiche che hanno investito il suo ente. Davanti a un folto numero di ricercatori presenterà una pubblicazione (Highlights 2009/2010) nella quale sono stati raccolti qualcosa come 200 articoli – apparsi su riviste scientifiche internazionali – che mostrano lo stato della ricerca in Italia. Un fiore all´occhiello che sembra smentire le tante preoccupazioni che investono la scienza italiana. Maiani ha anche vinto – insieme a Shaldon Lee Glashow e John Iliopoulos – l´European Physical Society (appena sotto il Nobel). Il riconoscimento internazionale gli è stato dato per una scoperta che risale ai primi anni Settanta: l´individuazione di un nuovo tipo di quark che arricchiva il mondo delle particelle: «Una nuova particella scoperta ci aiuta a capire meglio l´universo e le sue interazioni», osserva.
Ma per quanto riusciamo a conoscere sappiamo sempre troppo poco dell´universo. Non è frustrante per un fisico?
«Al contrario. C´è un´eccitazione che nasce dalla consapevolezza che l´universo è in larga parte inesplorato».
Quanto inesplorato?
«Moltissimo. Per gli effetti gravitazionali noi vediamo nell´universo una materia che non è fatta di atomi e che chiamiamo "materia oscura". Essa compone circa il 90 per cento dell´universo. C´è tantissimo lavoro da fare».
Sembra la saga di Guerre stellari. Materia oscura non è la stessa cosa dell´antimateria?
«L´antimateria ci dice che ogni particella ha un carica elettrica opposta. Il protone, ad esempio, ha un antiprotone. Mentre la materia oscura è qualcosa di cui vediamo gli effetti gravitazionali, ma non abbiamo nessuna evidenza sperimentale».
E tutto questo lei lo ha affrontato quando è stato direttore del Cern di Ginevra?
«Fa parte del programma di ricerca. Ho diretto il Cern per cinque anni. Prima di me, gli unici italiani a ricoprire quel ruolo sono stati Edoardo Amaldi, che però aveva la carica di segretario generale, e Carlo Rubbia. Si è molto lavorato sullo sviluppo degli acceleratori».
Cos´è un acceleratore?
«È una macchina costruita per accelerare particelle da mandare a bersaglio. Macchine che si sono sviluppate dopo la Seconda guerra mondiale e poi, proprio qui in Italia, a Frascati, un fisico austriaco, ha inventato gli anelli di collisione. Cioè una macchina in cui due fasci di particelle si scontrano in volo e questo, per gli effetti della relatività speciale, permette di aumentare l´energia. Si tratta, in parole semplici, di ricreare le condizioni dopo il Big Bang».
Dopo il Cern, la presidenza del Cnr. Che situazione ha trovato?
«Sono al Cnr dal marzo del 2008 e ho trovato una rete scientifica molto qualificata. Non ci sono i picchi, per intenderci non c´è un nuovo Carlo Rubbia, ma la rete è solida. E il Cnr potrebbe essere al livello del Max Plank se non soffrisse di pesantezze burocratiche dovute a una legislazione che impone all´ente le stesse regole dei ministeri».
Con quali effetti?
«Non si possono fare missioni e spendere soldi se non attenendosi a procedure estenuanti. Se, per esempio, devo invitare un ricercatore americano, anche per un contratto a termine dovrò chiedere al Ministero l´equipollenza del suo titolo di studio con i nostri. Il Ministero mi risponde dopo sei mesi, nel frattempo quello si è trovato un altro posto. Oppure, se voglio avere qualcuno da fuori per condurre un seminario, devo certificare che nessuno in Italia è in grado di fare quel seminario. Come faccio a convincere la Corte dei Conti che non c´è nessuno al Cnr che può tenere quel tipo di conferenza? Non parliamo delle assunzioni. Complicatissime. E poi c´è la politica con le sue ingerenze. Spero che i governi capiscano che devono fare un passo indietro. Da un po´ siamo preda di un dirigismo invasivo».
Si dice che l´eccesso di controllo da parte della politica abbia depresso la ricerca italiana.
«Ricercatori bravi continuano ad esserci. Il punto è quanto resisteranno. Negli anni Sessanta, quando mi sono laureato, la situazione era diversa. La scienza, come ricerca fondamentale, era considerata dalla società un elemento propulsore. Oggi è vista con sospetto. Come se potessimo tornare a un mondo pastorale privo di tecnologia. Siamo quasi 7 miliardi di persone come si fa a gestirle con poca o senza tecnologia?».
Il problema è anche la responsabilità che l´uso delle tecnologie richiede. Ci sono macchine avanzatissime, come i droni, che portano la morte.
«I droni li facciamo anche noi per l´esplorazione sottomarina, per raggiungere profondità o luoghi in cui l´uomo non può andare. È come con l´automobile. Posso utilizzarla per investire sistematicamente i passanti, oppure per viaggiare. Non ci sono dei grandi problemi. Semmai li vedo sul fronte delle scienze della vita. Qui ci può essere un limite tra lecito e illecito».
È ragionevole che la politica metta delle regole?
«Ci sono dei casi, come la questione nucleare, in cui la scienza non va d´accordo con i dettami della politica. Io credo che sia un´energia sicura. Molti pensano il contrario. La società ha tutto il diritto di difendersi dai rischi, anche se sono più percepiti che reali».
Su cosa la ricerca italiana oggi è avanzata?
«In generale le neuroscienze sono una frontiera importante. È un settore in cui le conoscenze possono avere decisive applicazioni. Mentre, che so?, la caccia al bosone di Higgs, non darà luogo a nessuna applicazione. In ogni caso, anche nell´ambito della fisica della materia stiamo esplorando cose che potrebbero dar luogo a vere rivoluzioni. L´impiego di calcolatori che usano effetti quantistici, le nanotecnologie, le cellule staminali, la robotica: sono tante le ricerche avanzate, sulle quali il Cnr è impegnato in prima linea».
Quanta gente lavora nel suo ente?
«Il volume complessivo è di circa 11 mila persone di queste un po´ più della metà è personale di ruolo».
Si è polemizzato sui vostri bilanci, accusandovi di averli un po´ truccati.
«Tutto è nato da un articolo apparso sul Corriere della Sera, al quale ho risposto chiedendo anche i danni. Perché gli ispettori non hanno mai detto che noi trucchiamo i bilanci, bensì che soffriamo di un regolamento troppo conservativo che richiede nel corso dell´anno molte variazioni di bilancio».
Quante variazioni?
«Circa diecimila. Al Cnr arrivano annualmente 600 milioni di euro. Il resto dei soldi lo trova concorrendo a contratti e bandi europei. Quindi quando un direttore fa il bilancio previsionale dell´anno successivo, non sa quante di queste domande andranno a buon fine. E non può metterle a bilancio perché potrebbe spendere gli importi e sarebbe un modo per far affondare la nave. Ora abbiamo introdotto bilanci trimestrali e una normativa più duttile».
A che punto sono le nuove nomine?
«Dovrebbero essere imminenti».
C´è un´altra polemica che ha coinvolto il suo vicepresidente Roberto De Mattei, il quale sostiene posizioni molto antiscientifiche. Com´è la vostra convivenza?
«Normale. Data la posizione che occupa poteva essere più cauto nelle dichiarazioni».
Esternare sulla Bibbia, sul castigo divino, su Dio all´origine del mondo non è troppo per un vicepresidente che dovrebbe essere un´emblema della ricerca scientifica?
«C´è la libertà di parola e forse la non opportunità di dire certe cose. Di teologia non mi occupo. Sul creazionismo dissento scientificamente».
Proprio sul creazionismo De Mattei organizzò un convegno al Cnr. Mi conferma che gli atti di quel convegno furono pubblicati da una casa editrice con una sovvenzione del Cnr?
«Fu un´iniziativa privata. Noi non rifiutiamo mai le aule che ci vengono chieste. Per quel convegno vennero da diverse parti d´Europa e a spese loro professori invitati da De Mattei. Voleva raccogliere delle opinioni antidarwiniane e farne una pubblicazione. Effettivamente la casa editrice chiese al nostro ufficio edizioni un contributo che fu concesso per una cifra di poco inferiore ai diecimila euro. Io non l´avrei fatto, ma i dirigenti hanno una loro autonomia».
Lei capisce che non è tanto un problema di cifra quanto una questione simbolica.
«È vero. Ma come disse il Re di Spagna Alfonso XIII a proposito del sistema tolemaico: se Dio mi avesse consultato l´avrei fatto diversamente».