Istruzione, la spesa pubblica scenderà per i prossimi 15 anni
Lo dice il Documento di programmazione economica e finanziaria
Valentina Santarpia
La spesa pubblica per istruzione continuerà a scendere per i prossimi quindici anni: lo dice il Def, il Documento di programmazione economica e finanziaria approvato venerdì sera dal Consiglio dei ministri. Secondo le previsioni del ministero dell’Economia, la previsione della spesa per istruzione in rapporto al Pil (prodotto interno lordo) presenta una sostanziale stabilità fino al 2016, ma solo perché i tagli («le misure di contenimento della spesa per il personale previste dalla normativa vigente») trovano compensazione nelle risorse stanziate dalla Legge di Stabilità per la riforma Renzi. Ma negli anni successivi le cose cambieranno: la spesa «mostra un andamento gradualmente decrescente che si protrae per circa un quindicennio».
L’inversione di rotta (tra 20 anni)
E prima di vedere un’inversione di rotta passerà del tempo, almeno stando alle previsioni del Def: la spesa pubblica per istruzione, che partiva dal 3,9% del Pil del 2010, passerà dal 3,7% del 2015 al 3,5% del 2020, al 3,4% del 2025, al 3,3% del 2030 e del 2035. Poi ricomincerà leggermente a salire, fino al 3,5% del 2060. Ma in realtà a partire dal 2020 la riduzione è «trainata dal calo degli studenti indotto dalle dinamiche demografiche», quindi significa che sostanzialmente ci saranno sempre meno studenti nelle aule e la spesa calerà.
Ultima in Europa
Secondo l’Istat, l’Italia è il Paese che spende meno in istruzione rispetto agli altri Stati europei membri in rapporto al proprio Pil. Secondo l’annuario italiano pubblicato a gennaio scorso, l’Italia ha speso nel 2014 complessivamente (quindi considerando non solo le spese dirette ma anche quelle indirette, come i sussidi alle famiglie) il 4,6% del Pil, molto meno che nel resto d’Europa. Dalla Danimarca (che guida la classifica con il 7,9%) al Regno Unito, dalla Francia al Belgio, dall’Olanda alla Svezia e alla Finlandia, la spesa si attesta sopra il 6%. Anche Portogallo e Spagna fanno meglio, con il 5,5%.