Israel: test solo per le 'conoscenze minime imprescindibili'
Intervista a Giorgio Israel
Nella prima parte dell’intervista, pubblicata ieri (domenica 7 ottobre), Giorgio Israel, professore di matematiche complementari alla Sapienza di Roma, ha risposto a domande che riguardavano le caratteristiche e gli obiettivi del volume “Pensare in matematica”, edito da Zanichelli, da lui scritto in collaborazione con la moglie Ana Millán Gasca, docente della stessa disciplina a Roma Tre.
Pubblichiamo ora la seconda parte dell’intervista che, prendendo lo spunto dal libro, affronta temi di viva attualità come i TFA (Tirocini Formativi Attivi), il concorso a cattedre recentemente bandito dal Miur e la vexata quaestio dei test
Può servire questo volume per la preparazione ai TFA e al concorso a cattedre bandito nei giorni scorsi?
Può certamente servire. Difatti, ci risulta che vari docenti abbiano intenzione di farne uso nei futuri corsi di TFA. Per quanto riguarda le prove concorsuali, la gamma di temi che debbono far parte della cultura di un insegnante di matematica è largamente coperta dal nostro libro e, se le domande a risposta chiusa rappresenteranno la verifica di conoscenze imprescindibili di base, esso sarà più che sufficiente. Tuttavia, di fronte a domande peregrine e nozionistiche, come la richiesta di chi sia stata la Field Medal per la matematica nell’anno tale, non c’è libro che tenga. Speriamo che al ministero prevalga la ragione.
Nelle prove di accesso ai concorsi, a partire da quelle preselettive, il ricorso ai test (con susseguenti elaborazioni statistiche di tipo quantitativo) è sempre più massiccio e frequente. Come giudica questa tendenza, che non sembra andare in direzione della verifica di competenze di tipo critico e complesso da parte dei candidati?
Ripeterò quel che ho già detto in altre occasioni: i test volti a “scremare” le persone che non raggiungono un livello accettabile, con domande elementari di cui è imprescindibile conoscere la risposta, sono uno strumento ragionevole, soprattutto di fronte ai grandi numeri che si presentano ai concorsi. Vi sono persone che non sanno fare la somma di frazioni e queste non possono neppure essere prese in considerazione. Era questo lo spirito con cui furono introdotti i test preliminari ai TFA. Se poi però qualcuno si fa prendere la mano, credendo di poter fare con i test chissà quali verifiche, oppure li usa con malizia per fare selezioni pesanti e “smaltire” i numeri a qualsiasi costo, allora siamo di fronte a qualcosa di inaccettabile. Purtroppo, si moltiplicano i casi di ricorsi sconsiderati ai test: dal concorso a dirigente scolastico ai test per l’ammissione ai TFA, per non parlare dei test universitari. Vorrei aggiungere che anche i test Invalsi sono discutibili ed è inaccettabile la pretesa dei tecnici dell’ente di valutare da soli la qualità dei loro “prodotti”. Ho contestato ripetutamente dei test di italiano in cui si pretendeva di ottenere dal candidato l’interpretazione “corretta” e univoca di un testo letterario, quasi che possa esistere. E ho anche contestato il valore di vari test di matematica. Non ho avuto l’onore di una risposta. È una miscela di incompetenza e di arroganza che si riflette nella pretesa di voler surrogare passo a passo tutte le funzioni di valutazione dell’insegnante affidandole a verifiche automatiche che non si sa perché avrebbero un valore oggettivo. Questo è, a mio avviso, un modo per distruggere la scuola trasformandola in un sistema burocratizzato.
Anche nel concorso a cattedre ci sarà un uso massiccio dei test, sia nella fase preselettiva (quesiti a risposta multipla non disciplinari) sia nella prova scritta, dove però i quesiti (disciplinari) prevedono risposte aperte. Si tratta in entrambi i casi di novità rispetto al passato. Come le giudica?
Sono novità che non mi piacciono. Le modalità illustrate per il concorso a cattedre assomigliano in modo impressionante a un esame per la patente di guida automobilistica: una verifica a crocette della conoscenza della segnaletica stradale e delle norme di base del codice della strada, e poi una prova di guida. Nel caso stradale è una prassi ragionevole perché la guida dell’auto è tanto migliore quanto più è standardizzata. Ma l’idea di standardizzare gli insegnanti, soprattutto dal punto di vista metodologico e persino ideologico (una tendenza che è emersa in modo plateale nel concorso a dirigente scolastico) è devastante. L’insegnante deve possedere le conoscenze necessarie e capacità didattiche, ma deve avere libertà metodologica. Non concordo affatto con il ministro quando dice che la cosa più importante è verificare come un insegnante “sta in classe” e non quel che conosce. Ritengo che sia vero il contrario. Altrimenti, ci metteremmo nell’ordine di idee di quell’ex-ministro che disse che gli insegnanti “gentiliani” vanno cacciati senza pietà. Il rischio è che poi venga un ministro che voglia cacciare senza pietà gli insegnanti “costruttivisti”, o “montessoriani” o “steineriani”, ecc. Per questo, l’esame di merito individuale è assolutamente imprescindibile e le prove standardizzate – se non ristrette alla verifica di conoscenze minime imprescindibili – riflettono l’ideologia di chi le ha preparate. Altro che oggettività.