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«Io, le cuffiette e l’aula che ormai è una casa»

la studentessa

13/09/2016
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Corriere della sera

Tantissime volte mi è capitato di sentire la frase «oggi sarà il mio ultimo primo giorno di scuola» e sempre ho pensato a questo evento come un traguardo lontano, un futuro non prossimo. Invece è arrivato anche per me, studentessa del Liceo Scientifico, e l’emozione è grande. Non è tanto la prospettiva di affrontare l’ultimo anno, con tutte le difficoltà che potrò incontrare, quanto il desiderio di riuscire a renderlo indimenticabile. Intorno all’ultimo anno di liceo si creano mille leggende, stereotipi da film, e la curiosità di provare tutte queste cose mi elettrizza. Sarà un susseguirsi di emozioni per tutto l’anno, oppure me ne renderò conto solo negli ultimi mesi? È inutile negare che l’ansia è forte, ed è partita già dalla fine del quarto, perché oltre i tre mesi estivi l’orizzonte di settembre è più vicino di quanto si creda, e io per prima, seguita da amici, genitori e parenti, mi sono domandata: «Come passerò l’ultima estate libera della mia vita?».

Alla fine l’estate è passata in un soffio e domenica sera, con le cuffie nelle orecchie e lo sguardo rivolto al soffitto, non nego di aver provato paura: per la maturità, per l’università, per il lavoro, per il futuro che per noi giovani è tanto incerto e ci spaventa più del dovuto. Però ho scacciato quei pensieri e mi sono concentrata sul presente, sul provare a vivere un anno indimenticabile, con compagni e professori, un anno che in futuro sarò grata di ricordare con gioia e un pizzico di nostalgia. Quando ieri mattina mi sono svegliata, una scarica di adrenalina mi ha attraversato, avrei desiderato trovarmi direttamente a scuola. Ma purtroppo ho dovuto affrontare il classico traffico romano con le mie fedeli cuffiette.

Quando ho varcato la soglia della mia scuola non ho potuto fare a meno di sorridere. Lo scenario sempre lo stesso: ragazzi di prima, chi più impacciato, chi meno, ma tutti con quell’aura che contraddistingue l’inizio di una nuova avventura; ragazzi sconsolati con gli occhi semichiusi e qualche sbadiglio di troppo; amici di sempre che si ritrovano con un abbraccio e la promessa di superare l’anno insieme; e poi i miei compagni, noi ragazzi di quinta, che consideriamo la nostra scuola un po’ come casa, consapevoli delle gioie e dei dolori che ci ha regalato, e che non siamo proprio pronti per affrontare l’ultimo anno, ma facciamo finta di esserlo tutti insieme. Ma forse è meglio così, è meglio non essere pronti, per imparare a diventarlo con l’aiuto delle persone che ci sono più vicine.

L’entrata in classe si apre con la classica corsa ai banchi che non cambia mai, entra il professore e via, iniziano i discorsi sulla maturità, tesine e tutto il resto. Quando butto uno sguardo al resto della classe vedo negli occhi di tutti paura, ansia, ma anche tanta voglia di dimostrare che quella maturità che dobbiamo prendere non è solo un «timbro» che ci viene messo, ma è una maturità che abbiamo conseguito col tempo, sbagliando e imparando. Ho sempre pensato che la maturità fosse un’occasione per creare un dialogo e un confronto alla pari con i professori, e questa è l’unica aspettativa che voglio conservare. Poi qualcuno fa una battuta e tutta la tensione si dissolve, lasciando spazio alle risate nostre e del professore, e allora va bene così, perché in fondo so che in un modo o nell’altro quest’anno passerà in un battito di ciglia.

Quando suona l’ultima campanella, dirigendomi verso l’uscita penso che questo ultimo primo giorno di scuola non è stato così male come pensavo, anzi, è stato l’inizio di un percorso bellissimo, che non si risparmierà di ostacoli che non vedo l’ora di superare e di emozioni che aspettano solo di essere provate.

Eleonora Cavalieri

Studentessa al Liceo scientifico Pasteur di Roma


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