Inizia la scuola, ridotta all'osso
di Marina Boscaino
Ieri in quasi tutte le regioni sono ricominciate le lezioni ed entro il prossimo lunedì tutti gli studenti
italiani saranno in classe. Scuole ridotte all’osso, con paziente determinazione. Navi fatiscenti e
dimesse senza nocchieri: qualche preside regge anche più di due istituti contemporaneamente,
responsabile ubiquo e che Dio gliela mandi buona; su 335 posti di ispettore, 265 sono vacanti.
Accorpate, ridotte, impoverite le scuole italiane registrano – settembre dopo settembre, inizio
d’anno dopo inizio d’anno – condizioni e situazioni che 12 mesi prima apparivano ogni volta
impensabili. Al peggio non c’è fine, si dice. E forse nessuno di noi – moltissimi, insegnanti, Ata,
studenti, genitori – che il 30 ottobre di tre anni fa eravamo in piazza con l’Flc Cgil a Roma, nella
più bella, emozionante e colorata manifestazione per la scuola pubblica di sempre, avrebbe
immaginato declini così rapidi, tracolli così drammatici. Ricchi di energie e risorse, eravamo
convinti che una mobilitazione tanto massiccia avrebbe fermato l’annunciata distruzione della
scuola pubblica.
Gli effetti della l. 133/08, poi confluita in Finanziaria, che ha tagliato 140 mila posti di lavoro e –
contestualmente – previsto l’aumento del rapporto tra alunni e docenti in classe, erano allora solo
immaginabili. Da essa sono poi nati nel 2010 i regolamenti di modifica degli ordinamenti della
scuola superiore (la “riforma” Gelmini). Il dl 137 (emanato senza requisiti di necessità e urgenza)
inoltre, su cui il governo aveva addirittura posto la fiducia (prassi ormai usuale, dal momento che in
questi giorni siamo intorno al cinquantesimo voto di questo tipo della legislatura), prevedeva alla
primaria il maestro unico, oltre al ripristino del voto in condotta; e creava dal nulla (e di nulla lo
alimentava) l’insegnamento Cittadinanza e Costituzione: citato, celebrato, ma a cui non sono state
destinate ore; l’area storica, a cui gli strateghi di Viale Trastevere assegnano quella materia, è stata
invece ridotta. Il contratto era scaduto da 9 mesi e le “incursioni” del ministro della Pubblica
amministrazione e dell’Innovazione in materia sindacale non erano ancora state codificate nella l.
15 e nel dlgsl 150/09 (la “riforma” Brunetta). Si poteva essere moderatamente ottimisti, allora:
sembrava di poter fermare la macchina. Non avevamo fatto i conti con l’assuefazione
all’impopolarità e la granitica volontà di Gelmini di non ascoltare, non negoziare, obbedire
supinamente agli ordini dall’alto (leggi Tremonti e – senza ironia – Brunetta).
Oggi dalla scadenza del contratto sono passati anni, quei 140 mila sono donne e uomini in carne e
ossa: quelli in mutande, quelli sui tetti, quelli dello sciopero della fame, quelli che occupano le
scuole. L’odioso Brunetta-pensiero (performance, valutazione, meritocrazia, agitate come bastone a
cui non segue alcuna carota) permea di sé la Pubblica amministrazione, a cui il ministro riduce la
scuola anche nella sua parte formativa, evidenziando sensibilità e conoscenza rare rispetto alla sua
specificità. Oggi sono gli studenti a subire le conseguenze di questa sequenza di insensatezza,
sciatteria, incuria che si è abbattuta sulla scuola pubblica e che chiamano riforme; nonostante i
ricorsi e le sentenze di illegittimità che piovono e pioveranno su questa amministrazione farraginosa
e arrogante, che viola norme e nega diritti. L’egemonia di una visione mercantilistica condita di
farisaica pedademagogia ha eluso l’interesse generale e confinato i più deboli in condizioni ormai
irreversibili. I più deboli, i più piccoli. Il mondo dell’integrazione della diversabilità si preoccupa:
avvelenata da tempo dalla cultura del rifiuto della diversità, l’inclusione è inficiata dall’utilizzo
forzato di personale non specializzato per ragioni contabili. E non parliamo dei rumores
sull’esternalizzazione del servizio.
Per quanto riguarda i futuri italiani, invece, ecco che a Milano, Gelmini nega una prima classe della
primaria, non accettando la richiesta di deroga al tetto del 30%: troppi stranieri, anche se si tratta di
bimbi nati in Italia, che qui hanno frequentato la scuola dell’infanzia. Più in generale, alla primaria
orario-spezzatino, distruzione del tempo pieno. Ogni anno nuovi tasselli dello smantellamento di
diritti e idee. A Torino si è addirittura profilata un’emergenza per le mense scolastiche: gli enti
locali, colpiti dai tagli culminati nell’ultimo atto della doppia manovra estiva, devono ricorrere a
soluzioni funamboliche. E così in quegli zainetti che continuano a portare libri di carta , sempre più
cari (alla faccia della rivoluzione digitale), affiancati sempre più spesso da risme per fotocopie e
rotoli di carta igienica (la creativa scuola fai-da-te modello Gelmini prevede anche questa forma di
contributo di solidarietà in natura), si rischia di dover riservare spazio per la gavetta