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Infanzia: Una scuola invisibile?

Come esce la scuola dell'infanzia da quest'anno scolastico e politico? Giancarlo Cerini le riconosce una solida qualità, con alcuni problemi aperti: condizioni organizzative critiche, anticipo, debole formazione in servizio.

11/06/2014
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Giancarlo Cerini

Buone e cattive notizie

La scuola dell'infanzia italiana tiene ancora bene la sua posizione. È l'unico segmento scolastico ad aver raggiunto gli obiettivi del programma “Istruzione e formazione 2020” (che propone ai paesi europei l'obiettivo del 95% di bambini iscritti: noi siamo al 97%); è apprezzata dagli utenti; è studiata dai ricercatori a livello internazionale; ha grandi tradizioni pedagogiche, antiche (Montessori e Agazzi) e recenti (Reggio Approach). È capillarmente presente sul territorio con i suoi 24.000 plessi; è articolata al plurale in scuole statali (60%), comunali (15%) e privato sociale (25%).

Eppure qualche scricchiolìo si sente: costi elevati per i servizi di supporto come le mense (con fenomeni di abbandono di un momento educativo importante), liste di attesa nelle grandi città, esternalizzazione di parti importanti del servizio educativo (dall'handicap ai pomeriggi, a intere sezioni o scuole), penuria di risorse per il materiale didattico, condizioni organizzative sempre più difficili (ad esempio, uno strisciante aumento del numero medio di bambini per sezione, riduzione dei tempi, ecc.).

C’è poi la ferita aperta dell’anticipo “strisciante” in ingresso ed in uscita dalla scuola: così, il punto di forza della scuola dell’infanzia italiana, la sua durata triennale, dai 3 ai 5 anni, rischia oggi di essere messa a dura prova da scelte non legate alla riflessione pedagogica, ma a ragioni contingenti della spesa.

È vero, c'è il modello 0-6 dietro l'angolo, che accomuna in un unico progetto educativo i nidi d'infanzia (0-3 anni) e le scuole dell'infanzia (3-6 anni), ma pur essendo due esperienze pienamente educative rispondono ad esigenze diverse. Se ne parla anche in un progetto di legge (prima firmataria la senatrice Puglisi), che vorrebbe dare pari dignità ai servizi educativi per la prima e la seconda infanzia.

Gli asili nido corrono rischi di privatizzazione e di marginalità assai maggiori della scuola dell’infanzia, che ha una sua solidità dovuta alle leggi 444/1968 (per la scuola statale) e 62/2000 (per la scuola paritaria). Nel segmento 3-6 anni sono semmai le scuole dei Comuni ad essere “sofferenti”.

Anticipo? Grazie, prego, scusi... preferisco di no!

È tornato, prepotente, nelle ultime settimane, il dibattito sull'anticipo a 5 anni dell’ingresso nella scuola primaria. Ma così, di rimbalzo, a rimorchio di altre questioni più pressanti come l'esigenza di uniformarsi all'Europa con una uscita dal percorso scolastico a 18 anni. Dunque, un problema di contenitori, di segmenti, di durate, piuttosto che una riflessione su chi sono oggi i nostri bambini di 5 anni (che hanno ancora bisogno di tempi distesi e ludici per l'apprendimento) o i nostri ragazzi di 19 anni (che forse vorrebbero più autonomia e iniziativa personale nelle scelte per il futuro). Sarebbe quanto mai opportuno ascoltare la loro voce. Invece, le ragioni prevalenti sono quelle dei grandi, dell’economia, della competizione.

Non è di un anno in meno di scolarizzazione, ciò di cui il nostro paese ha bisogno. Sono ancora troppe le differenze sociali, culturali, territoriali, che sarebbero accentuate dalla riduzione dell'intervento pubblico sull'istruzione, a maggior ragione se avvenisse nelle età più precoci, sulle soglie della seconda infanzia. Gli indici di povertà della popolazione infantile ci ricordano che il binomio “pane e grammatica” non è solo un retaggio del passato, ma una condizione della post-modernità, anche in molte regioni d’Italia.

E poi, una scuola dell'infanzia ridotta ad un solo biennio sarebbe “sbriciolata” sotto il profilo istituzionale e organizzativo.

Dopo le Indicazioni, la ricerca-formazione

Questa attenzione ai piccoli, ai loro bisogni di cura e di educazione (due concetti da non contrapporre) si ritrova nelle Indicazioni per il curricolo della scuola dell'infanzia (e del primo ciclo) che hanno avuto nel corso del 2013-14 il loro primo anno di attuazione. Le risorse investite per il loro “accompagnamento” sono veramente esigue (Circolare Ministeriale 22/2013). Tuttavia ci sono oltre 400 reti di scuole impegnate in un piano di formazione, per piccoli gruppi di docenti, in una ottica laboratoriale.

È di buon auspicio sapere che in molti di questi gruppi di ricerca-formazione sono presenti docenti della scuola dell'infanzia, non come ospiti aggregati, ma – speriamo – come figure capaci di portare quel tocco di delicatezza nell’interpretare la qualità di un curricolo. Non è in gioco solo il tema dell’ascolto, dell’accompagnamento, della relazione educativa (tutte sfumature del fare scuola in cui la “materna” ha molte cose da dire), ma la stessa idea di apprendimento, di conoscenza, di incontro con i saperi.

Prendiamo uno dei concetti base delle Indicazioni, quello di “campo di esperienza”: è un modo intelligente per parlare di discipline e di apprendimento, perché afferma la centralità dell’esperienza dei bambini (ma potremmo dire anche degli adolescenti), ma ne propone l'evoluzione (curricolo verticale) in conoscenza, rielaborazione, competenza, proprio grazie alla mediazione e alla “regìa” attenta dell'insegnante, nel costruire situazioni di apprendimento partecipate e operative (mediante adeguati ambienti di apprendimento).

Questa è la didattica per competenze di cui tutta la scuola italiana è alla ricerca. Analogamente potremmo dire per il concetto di valutazione formativa, che nella scuola dell'infanzia si traduce esplicitamente in conoscenza, documentazione, incoraggiamento, accompagnamento (dall’esperienza alla sua rielaborazione).

Un insegnante a tutto tondo

Si è aperto in questi mesi il dibattito sulla valorizzazione della figura del docente: come formare, riconoscere, premiare i docenti migliori? Nella convinzione che questo stimoli tutti gli insegnanti a diventare buoni insegnanti e non porti a creare gerarchie in una scuola che funziona se rafforza la sua caratteristica di comunità educativa.

Il profilo del docente di scuola dell'infanzia contenuto nelle Indicazioni 2012 è un ottimo protocollo per identificare docenti di qualità: un insegnante competente, motivato, capace di alimentare la fiducia dei genitori e della comunità; che si prende cura dei propri allievi; che su piano didattico valorizza l'esperienza (il mondo del bambino), ma lo fa evolvere, incoraggiando l’impegno e la curiosità, attraverso una sapiente mediazione comunicativa; che alimenta la propria professionalità attraverso la riflessione sulle pratiche, la condivisione delle conoscenze, il rapporto con il sapere “adulto” (l’insegnante è una persona colta); che si impegna a rafforzare la comunità scolastica cui partecipa, attraverso la collaborazione tra pari e l’estendersi di una leadership diffusa (con figure di coordinamento ed un ruolo pro-attivo della dirigenza).

Un simile profilo può costituire un parametro significativo per tutti gli altri livelli scolastici, nel delineare una figura “alta” di un professionista a tutto tondo (meritevole di una carriera più dinamica). È la conferma che la scuola dell’infanzia è il nostro “tesoretto”, cui attingere risorse pedagogiche a vantaggio di tutto il sistema educativo (potremmo esemplificare in materia di competenze, di ambiente di apprendimento, di valutazione, di dialogo sociale con i genitori, di comunità educativa).

Una ragione in più per mettere la scuola per i bambini dai 3 ai 6 anni al centro delle preoccupazioni della società civile e di quella politica.

https://www.giuntiscuola.it/scuoladellinfanzia/magazine/articoli/infanzia-una-scuola-invisibile/


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