Infanzia, la delega ancora non c'è ma già è stata modificata
Il dl scuola prevede che si passi ai fabbisogni standard
Emanuela Micucci
Non ancora varata dal Governo, la delega per la riforma del sistema integrato di istruzione 0-6 anni è già stata modificata dal Dl Scuola. Non solo una sostituzione di termini da «livelli essenziali delle prestazioni», come originariamente definiti nel testo della Buona Scuola (comma 181, art.1 L.107/2015), a «fabbisogni standard», come previsto dalla legge di conversione del Dl 42/2016 in tutte le frasi della delega della 107 in cui è presente. Ma una modifica sostanziale della riforma che apre una serie di questioni in vista della delega che il governo dovrà varare nei prossimi 5 mesi. Eppure, questa sembrava la delega che aveva la strada più spianata, forte del ddl Puglisi (dalla prima firmataria della proposta, la capogruppo in commissione istruzione del senato, Francesca Puglisi, pd) sul sistema integrato di istruzione 0-6 anni, che in larghissima parte ricalca, in dirittura d'arrivo in Senato già due anni fa alla vigilia del lancio della Buona Scuola.
Quindi, si tratterà di definire i fabbisogni standard, non più i livelli essenziali delle prestazioni, della scuola dell'infanzia e i servizi educativi per l'infanzia previsti dal Nomenclatore interregionale degli interventi e dei servizi sociali. Di istituire una quota capitaria per il raggiungimento dei fabbisogni standard, non più dei livelli essenziali, prevedendo il cofinanziamento dei costi di gestione, da parte dello Stato con trasferimenti diretti o con la gestione diretta delle scuole dell'infanzia, mentre la restante parte è assicurata dalle regioni e dagli enti locali al netto delle entrate da compartecipazione delle famiglie utenti del servizio. Di approvare e finanziare un piano di azione nazionale per la promozione del sistema integrato, finalizzato anche questo al raggiungimento dei fabbisogni standard, non più dei livelli essenziali.
«Si corregge un principio e criterio direttivo della delega sullo 0-6 anni prevista dalla legge n. 107 del 2015, sostituendo l'espressione 'livelli essenziali' con 'fabbisogni standard', in quanto i livelli essenziali presupporrebbero l'universalità del diritto, mentre sul segmento 0-3 anni l'obiettivo europeo è di assicurare il 33% di copertura del servizio», spiega il relatore del provvedimento Anna Ascani (Pd). Una precisazione che ripropone il tema dell'assimilazione o meno dei nidi alle scuole dell'infanzia, le quali in Italia coprono ormai la generalità dei bambini di quella fascia d'età. Due istituzioni oggi diverse. L'infanzia non è solo generalizzata e da tempo inserita a pieno titolo nel sistema d'istruzione, come certificano la generalizzazione degli istituti comprensivi e le Indicazioni nazionali per il curricolo, ma è anche gratuita. Il nido invece non è e, come osservato dal ministero dell'economia, può oggi essere del tutto gratuito avendo come obiettivo la copertura del 30% dell'utenza.
Il relatore ammette però che anche il termine «fabbisogno standard» crea qualche problema. Infatti, «occorrerebbe chiarire il significato della locuzione 'raggiungimento dei fabbisogni standard'». Poiché il fabbisogno standard «costituisce un indicatore del bisogno finanziario ottimale per erogare una quantità di prestazioni adeguata a garantire i livelli essenziali delle stesse. In quanto indicatore di spesa (efficiente), esso non sembra pertanto prestarsi ad un 'raggiungimento', espressione che, ad un primo esame, sembrerebbe invece da intendersi nel senso di obiettivo di 'finanziamento' del fabbisogno». La norma, inoltre, rinvia al Nomenclatore interregionale degli interventi e dei servizi sociali la definizione non più dei livelli essenziali delle prestazioni ma dei fabbisogni standard della scuola dell'infanzia e dei servizi educativi.
Elaborato nel 2009 e aggiornato nel 2013, il Nomenclatore interregionale però contiene le prestazioni socio-assistenziali ed a integrazione socio-sanitaria dei comuni singoli e associati diffuse sul territorio nazionale: è, quindi, uno strumento per mappare gli interventi e dei servizi socio-assistenziali e socio-sanitari, non quelli delle scuole. La preoccupazione è una regressione della scuola dell'infanzia verso i servizi socio-assistenziali in cui sono collocati i nidi.