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In Italia il 20% degli adulti europei con un basso livello di istruzione

Per tutti questi motivi, l’Italia dovrebbe puntare con forza a investire parte delle risorse del Recovery Plan sulla formazione continua. Non solo per affrontare il gap di competenze a sostegno dell’occupazione, ma anche per garantire la modernizzazione della Pa, la digitalizzazione dell’economia e il sistema di istruzione scolastica

27/01/2021
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Il Sole 24 Ore

Claudio Tucci

L’Italia ha quasi 13 milioni di adulti con un livello di istruzione basso (categoria Isce 0-2, equivalente alla terza media), il 39% del totale dei 25-64enni (intorno ai 33 milioni di individui); si sale addirittura a più di un adulto su due (la stima oscilla tra il 53-59% dei 25-64enni) «potenzialmente bisognoso di riqualificazione» per via di competenze “obsolete”, o che a breve lo diventeranno, a causa dell’innovazione e del cambiamento tecnologico in atto nel mondo del lavoro, oppure perché, nonostante la laurea, possiedono scarse capacità digitali, di alfabetizzazione e di calcolo. Eppure, è questo il paradosso, ci si formano molto poco: in Italia, infatti, nonostante qualche progresso negli ultimi anni, la quota di adulti che partecipa ad attività di istruzione e di formazione è tra le più basse a livello internazionale: ci si attesta a un modestissimo 24% contro il 52% della media Ocse (indagini Piaac), e riguarda in netta prevalenza gli occupati (81%), che dichiarano di svolgere la formazione essenzialmente per motivi legati al miglioramento della carriera; di seguire corsi fuori dall’orario di lavoro, se si tratta di apprendimenti formali, o all’interno del proprio ufficio, per gli apprendimenti non formali.

Non solo. I circa 13 milioni di adulti italiani con basso livello di istruzione rappresentano circa il 20% della popolazione adulta europea con un basso livello di istruzione (circa 66 milioni di individui totali); a testimonianza di un’emergenza formativa dai numeri piuttosto ampi che caratterizza, da tempo, il nostro Paese (e non è limitata ai soli studenti). Ma che rischia, ora, di produrre effetti oltre modo pesanti sul tessuto produttivo e sull’intero Paese in vista della (auspicabile) ripartenza, uscendo (si spera presto) dal tunnel della pandemia.

Per tutti questi motivi, l’Italia dovrebbe puntare con forza a investire parte delle risorse del Recovery Plan sulla formazione continua. Non solo per affrontare il gap di competenze a sostegno dell’occupazione, ma anche per garantire la modernizzazione della Pa, la digitalizzazione dell’economia e il sistema di istruzione scolastica.

È questo l’appello sottoscritto da esperti appartenenti a diversi enti, tra cui Antonio Ranieri (Cedefop, Centro europeo per la formazione professionale), Sebastiano Fadda (Inapp), Giovanni Biondi (Indire), in una lettera aperta, pubblica da stamane, a istituzioni e politica con lo scopo «di non sprecare l’occasione» e realizzare «entro il 2025 l’obiettivo Europeo del 50% di adulti che partecipano in attività formative almeno una volta ogni 12 mesi».

«Lo abbiamo imparato anche da questa crisi - è scritto nella lettera appello - reagire all’emergenza e costruire soluzioni sostenibili per il futuro richiede capacità e risorse propriamente umane e in primo luogo tutte le competenze - di base, trasversali, sociali, scientifiche e imprenditoriali - necessarie per affrontare l’incertezza e creare opportunità dalle nuove tecnologie, dall’allargamento degli scambi internazionali, così come dal vasto patrimonio di beni culturali e naturali di cui l’Italia dispone». Se è vero che «il Piano nazionale di ripresa e resilienza Next Generation Italia riconosce l’importanza dell’apprendimento permanente» è altrettanto vero, prosegue la lettera, che «l’efficacia di queste misure resterebbe tuttavia limitata in assenza di un sistema nazionale integrato per l’apprendimento permanente e il riconoscimento delle competenze della popolazione adulta».

Il messaggio è chiaro, e rappresenta un input forte al Governo, che seppur dimissionario, è impegnato ad attuare il Recovery Fund. Questo filone di finanziamento, infatti, rappresenta un’opportunità storica, «per creare nel nostro Paese - si legge ancora nella lettera - un vero e proprio sistema di formazione permanente in grado di dare accesso sistematico e opportunità di formazione e sviluppo delle competenze a tutti gli italiani, siano essi occupati stabilmente o in forme atipiche, in cerca di occupazione, liberi professionisti, creatori di proprie iniziative imprenditoriali, o fuori dal mercato del lavoro».

Del resto, il campanello d’allarme è serio, e non va sottovalutato: tra i 16 e i 65 anni, gli italiani con livelli molto bassi di “literary” sono poco meno di 11 milioni, il 27,9% della popolazione di riferimento (indagini Piaac). Cosa significa? Che si tratta di cittadini che riescono, con difficoltà, a leggere testi brevi su argomenti familiari e a individuare informazioni specifiche, e, soprattutto, non sono in grado di associare testo e informazioni. Quasi un terzo (31,8%) di questi circa 11 milioni di persone ha un’età compresa tra i 55 e i 65 anni. A livello territoriale, più del 60% dei cosiddetti “low skilled” italiani si concentrano nelle regioni del Sud e del Nord-Ovest. Gli iscritti ai centri per l’istruzione per gli adulti (Cpia) sono oltre 163mila (dati Indire), ma queste realtà non riescono a decollare.

Il quadro non è migliore tra i livelli di istruzione superiori. La popolazione di 25-64enni con un titolo di studio terziario (laurea), in Italia, è ferma al 19,6%, contro un valore medio europeo pari a un terzo (33,2% - monitoraggio Istat su dati 2019). L’Italia è in coda anche per i giovani laureati nelle discipline Stem (Science, Technology, Engineering and Mathematics), le più ricercate: nel 2019, il 24,6% dei 25-34enni ha una laurea in queste materie tecnico-scientifiche (il 37,3% sono uomini, appena il 16,2% sono donne).

«Siamo convinti che il nostro Paese sia oggi dotato delle capacità e risorse necessarie per realizzare questo salto di qualità strutturale - concludono i firmatari dell’appello -. Riteniamo sia necessario un tavolo di confronto sull’istruzione e formazione degli adulti, riavviando processi e coinvolgendo le reti esistenti, affinché si definisca una nuova agenda per le competenze a livello nazionale a sostegno delle priorità di sviluppo di oggi con lo sguardo ai benefici per le future generazioni».


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