In 200 mila contro la riforma La Gelmini: «Slogan vecchi»
Cortei di studenti in 100 città. Torino, occupati i binari
ROMA — Il 17 novembre è da sempre una data simbolica per i movimenti studenteschi. Proprio quel giorno, nel 1973, i carri armati presero a cannonate il Politecnico di Atene per soffocare la rivolta contro la dittatura militare, mentre nel 1989, a Praga, la carica della polizia sugli studenti in piazza san Venceslao segnò l’inizio alla rivoluzione di velluto. Anche per questo il 17 novembre è diventata la giornata internazionale di mobilitazione per il diritto allo studio che ieri, in Italia, ha portato in piazza 200 mila fra studenti, ricercatori e precari. Più di 100 città sono state attraversate dai cortei nello stesso giorno dello sciopero proclamato dalla Flc Cgil per l’intero settore della conoscenza, dagli asili agli enti di ricerca. Manifestazioni e sciopero si aggiungono alle occupazioni che in questi giorni si moltiplicano da Nord a Sud, sempre con lo stesso obiettivo: dire ancora una volta no alle riforme fatte in questi due anni e mezzo nella scuola e soprattutto basta con la politica dei tagli seguita dal governo.
Come già in passato il ministro dell’Istruzione Mariastella Gelmini sceglie di minimizzare: mentre vengono diffusi i dati ufficiali sull’adesione allo sciopero, 3,8%, lei dice che «vengono riproposti i vecchi slogan di chi vuole mantenere lo status quo, di chi è aprioristicamente contro qualsiasi cambiamento». Parole alle quali risponde Francesca Puglisi, responsabile scuola Pd: «Di vecchio c’è solo la sua idea di scuola dei grembiulini e 5 in condotta, gli edifici non a norma e le aule senza tecnologie». La protesta è stata promossa da diverse organizzazioni, dalla Rete degli studenti all’Unione degli universitari, dal Link alla Federazione degli studenti, passando per i Giovani democratici. Quasi sempre sigle vicine alla sinistra, è vero, ma sarebbe riduttivo considerare quella di ieri una protesta soltanto politica o generazionale. Il disagio nelle scuole e nelle università c’è e si è visto ancora una volta. I cortei sono stati tranquilli e pacifici. Momenti di tensione a Milano, dove la vetrina di una banca in corso di Porta Romana è stata presa a colpi di mazza, e a Pisa dove i manifestanti hanno provato a forzare il blocco per raggiungere la sede di Confindustria, con una carica degli agenti che ha fatto due feriti. A Torino gli studenti hanno occupato i binari della stazione di Porta Nuova e Palazzo Campana, storica sede universitaria dove cominciò il movimento del ’68. Qualcuno ha studiato iniziative ad effetto, come nelle Marche dove gli universitari della Carlo Bo sono andati a piedi da Urbino ad Ancona, una scarpinata di 100 chilometri durata cinque giorni. Gli studenti napoletani hanno lavorato di fantasia con lo slogan «Noi non pagheremo i bunga bunga del governo», mentre la Flc Cgil ha chiuso la giornata a Roma con un dibattito a più voci in piazza Navona, dove sono stati proiettati alcuni brani del film «La scuola è finita».
Non è la prima protesta di questo caldo autunno studentesco, e probabilmente non sarà nemmeno l’ultima. La prossima settimana arriva in Aula alla Camera un’altra riforma Gelmini, quella dell’università, nonostante la crisi politica e i problemi di copertura finanziaria che l’avevano fermata un mese fa. Gli studenti e ricercatori che hanno manifestato ieri non hanno ancora trovato un nome comune, come fu con l’Onda e con la Pantera. Ma è probabile che scenderanno di nuovo in piazza.