Il “tetto” bipartisan di studenti e professori
La protesta contro la riforma Gelmini coinvolge docenti e giovani di ogni colore politico ma con lo stesso obiettivo: salvare l’università e la ricerca
Giulio Peruzzi - Docente di Storia della fisica all'Università di Padova
Il mondo dell’Università in questi giorni intensifica le proteste contro il cosiddetto ddl Gelmini. A protestare, levando alto il loro disagio, ci sono studenti, docenti universitari (ricercatori, associati, ordinari), rettori, presidi di facoltà, direttori di dipartimento. Migliaia di persone assolutamente non ascrivibili a una definita parte politica. Sono di destra e sinistra, ma non hanno tanto a cuore la loro appartenenza politica. Hanno a cuore l’alta formazione e la ricerca. Hanno a cuore il futuro di questo Paese, avviato a un masochistico declino, la cui rappresentazione metaforica è l’emergenza rifiuti, i crolli del suo patrimonio artistico, la menzogna eretta a sistema, la travolgente parabola dell’illecito che diventa lecito, il successo mediatico che diventa tout court merito. Le forze politiche, che alla Camera stanno approvando il ddl Gelmini di riforma “epocale” (sic!) dell’Università pubblica, vanno avanti senza nessun interesse per quello che questo significa. Se i “futuristi” di fini approveranno la riforma universitaria, non lo faranno perché convinti, lo faranno perché potrannodomani usarla a fini elettorali. Potranno dire: vedete, su provvedimenti “virtuosi”, come quello della riforma universitaria, noi abbiamo dato il nostro appoggio, mentre lo abbiamo negato là dove era chiaro l’intento di favorire interessi di parte o personali. Così non si governa un Paese, lo si affossa. E mentre si fanno orecchie da mercante alle accorate richieste di una comunità accademica e scientifica che vorrebbe si meditasse con maggiore serenità su questioni di fondamentale importanza per l’Italia aprendo il confronto con chi vuole davvero cambiare ma sa bene di cosa si tratta, si stanno varando provvedimenti nefasti. Parliamo del Decreto Ministeriale per la programmazione 2010-12 dell’Università (statale e non). Come si legge in articoli di giornali di diverso orientamento, si cerca in extremis di accreditare strutture aberranti come il Cepu che sono la negazione stessa dell’alta formazione e della ricerca. Nel decreto si enuncia il sacrosanto principio di non proliferazione di nuove Università, salvo poi garantire la proliferazione delle Università non statali (articoli 5 e 6 della bozza di Decreto per la programmazione) che possono anche diventare statali. E si stabiliscono obiettivi e criteri di valutazione che coinvolgono l’anno in corso (la programmazione riguarda anche il 2010), quando a tutt’oggi non è stato erogato per le Università statali (ma erogato per le non statali) il finanziamento ordinario per il 2010, per cui si assiste a surreali riunioni di Consigli di Dipartimento, di Facoltà, di Amministrazione che chiudono bilanci senza certezze sul finanziamento 2010 e approvano bilanci preventivi 2011 “presunti” in assenza di dati per l’anno in corso. Uno strano Paese il nostro, che sopravvive con dignità nonostante il suo Governo. Ma ancora per poco.