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Il Tempo-Riforme e progetti

RIFORME E PROGETTI Per mirare a una scuola eccellente CHI VOLESSE capire cosa bolle in pentola nella scuola italiana (e intendo tutta la scuola italiana, compresa l'Università e comprendendovi...

08/08/2002
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Il Tempo

RIFORME E PROGETTI
Per mirare a una scuola eccellente
CHI VOLESSE capire cosa bolle in pentola nella scuola italiana (e intendo tutta la scuola italiana, compresa l'Università e comprendendovi anche l'Accademia) può avvicinarsi a un testo fresco di stampa: A. Pollazzon, "La qualità dell'autonomia organizzativa scolastica, ipotesi di modellizzazione" (Roma, 2002, editrice universitaria - La Goliardica, pagg. 174). E scoprirà donde derivano le contraddizioni del nostro sistema dell'istruzione (pubblica e privata, una volta tanto all'unisono) e il ritardo dei nostri modelli educativi, dalla scuola materna all'università. Sia ben chiaro: la nostra autrice si guarda bene dall'esaminare lo statu quo del nostro sistema scolastico; la Pollazzon presenta soltanto (e vi par poco?) qual è la condizione, sulla scorta dei risultati raggiunti nei sistemi educativi di Harvard, Berkeley e Princeton, per ottenere la qualità del servizio scolastico, intesa come risultato adeguato attraverso un utilizzo ottimale delle risorse a disposizione. È un discorso, questo, iniziato da un gruppo di cervelli riunito nell'Aiqf (Associazione italiana per la qualità della formazione) e inserita nel glossario della formazione 1997, fatto proprio dalla Crui (Conferenza dei rettori delle università italiane) nel 2000. Qualità, dice quel documento della Crui, è "la capacità strutturata di definire gli obiettivi (sulla base delle esigenze opportunamente identificate) di programmare e sviluppare le azioni necessarie per raggiungerli e di controllare continuamente il grado di corrispondenza dei risultati con gli obiettivi stessi. Questa azione di controllo consente di assicurare un miglioramento continuo, intervenendo prontamente nel caso di spostamenti che possano essere dovuti a problemi interni alla struttura o alle mutate condizioni esterne".
Il risultato, secondo la Crui e la Conferenza dei delegati dei settori per l'orientamento e tutorato, è la costruzione dell'eccellenza. E non può che essere altrimenti dal momento che lo stesso termine qualità si muove lungo le coordinate degli aggettivi "scarsa", "buona" ed "eccellente".
Ebbene, questo discorso sulla qualità è il tarlo che rode la scuola e l'università italiana per tutto il decennio 1990-2000, che ha aperto la strada alla competitività e alla "resa dei conti" all'interno della scuola italiana, fra l'Accademia come struttura ormai evanescente di un mondo in decadimento e che non ha saputo stabilire un rapporto di dignità con il sistema dell'economia generalizzata diffusa mossa dai grandi centri di interessi (meglio conosciuta come globalizzazione) e la tradizione del nostro passato umanistico che non solo non era né è da buttar via, ma che deve essere il filtro necessario per far transitare i grandi progetti di interessi di capitali (frutto di una precisa cultura a noi estranea almeno geneticamente) nella nostra cultura economica italiana fatta di miriadi di piccoli interventi e aliena dai grandi interventi dei grandi gruppi internazionali.
Il risultato è stato che i centri scientifici e tecnologici italiani hanno accettato il sistema havardiano, di Berkley e di Princeton fondato su una pianificazione delle istituzioni educative (con un linguaggio tutto aristocratico: mission; cosa facciamo e a chi è diretta l'offerta formativa: vision, in quale direzione ci rivolgiamo; politica, quali obiettivi dobbiamo raggiungere nel breve e medio termine quali indicatori di performance aggredire per dimostrare il conseguimento degli obiettivi) che è stato nei fatti respinto dai centri scientifici e umanistici che giocano invece su tempi lunghi e che non sottostanno ai principi del mercato a breve-medio termine.
Il risultato è che le varianti politiche per la qualità, gestione (relativa a conduzione aziendale), pianificazione, controllo, assicurazione (e/o garanzia), sistema, gestione totale e miglioramento sono schizofreneticamente indirizzati ai due mondi universitari italiani (scientifico-tecnologico e scientifico-umanistico) con una resa contraddittoria difficilmente controllabile parimenti. Di ciò si è resa conto certamente la nuova gestione Moratti dell'istruzione pubblica e privata della scuola e dell'università italiana; di ciò, ed è paradossale, non se ne rese conto il ministro Berlinguer, proprio lui che proveniva da una cultura antitetica a quella espressa da Harvard, Berkley e Princeton, modelli che sono certamente più vicini alla Moratti ma che quest'ultima sa filtrare (c'è una diversa concezione del concetto di progresso, non c'è dubbio fra l'area culturale del primo e quella della seconda!) attraverso la nostra cultura umanistica. Filtro che vuol dire: pazientare, se non si vuole sconvolgere e distruggere il nostro patrimonio educativo; riflettere, prima di applicare le nuove metodologie provenienti d'Oltreoceano.


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